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Ricattato e minacciato per 16 mesi

Il giudice Luciano GorraL’ingresso della caserma dei carabinieri di Peschiera, autori dell’indagine a carico dei tre indagati
Il giudice Luciano GorraL’ingresso della caserma dei carabinieri di Peschiera, autori dell’indagine a carico dei tre indagati
Il giudice Luciano GorraL’ingresso della caserma dei carabinieri di Peschiera, autori dell’indagine a carico dei tre indagati
Il giudice Luciano GorraL’ingresso della caserma dei carabinieri di Peschiera, autori dell’indagine a carico dei tre indagati

L’ordinanza di custodia cautelare del giudice Luciano Gorra lunga 18 pagine è in realtà il racconto dello stato di angoscia e paura vissuta da due imprenditori di Lazise e Sona e durata dal luglio del 2018 fino al sei dicembre dello scorso anno quando una delle due vittime si è decisa a denunciare i soprusi subiti fino a quel giorno. Sono loro le due vittime di Vincenzo Gioioso, 72 anni e il nipote Massimo, 46, e Andrea Talillo, 51, arrestati il 6 maggio scorso con l’accusa di estorsione, incendi, solo per i Gioioso e tentata estorsione. I tre avevano architettato un metodo per costringere i malcapitati a dare loro i soldi: bruciavano i mezzi di proprietà delle loro aziende e poi si presentavano dalle vittime, chiedendo i soldi in cambio di protezione. Un metodo portato sotto i riflettori della giustizia dai carabinieri di Lazise e Peschiera che hanno raccolto sufficienti prove perché il gip Gorra ordinasse il loro arresto come chiesto dal pm Stefano Aresu. INTERROGATI. Proprio due giorni fa, si è svolto in video conferenza l’interrogatorio di garanzia davanti al gip Luciano Gorra e i tre, difesi da Maurizio Milan, Giovanni Chincarini e Gianfranco Manuali, hanno fatto scena muta nella sala video del carcere di Vicenza. I loro legali, però, hanno presentato il ricorso al tribunale della libertà di Venezia, chiedendo la scarcerazione dei loro assistiti anche sulla motivazione che l’interrogatorio di garanzia si è svolto oltre i 5 giorni prescritti dal codice di procedura. LA PRIMA DENUNCIA. Tutto inizia il 23 luglio 2018 quando un imprenditore edile di Sona si presenta ai carabinieri di Valeggio per segnalare l’incendio del proprio autocarro del valore di 30.000 euro che si trovava in un’azienda di un cliente. Per il veronese, è solo l’inizio dell’ incubo. Lo stesso imprenditore poi impiegherà un anno e quattro mesi a raccontare ai carabinieri che pochi giorni dopo quell’incendio «vi era stato un inaspettato interessamento sulla questione dell’ex dipendente Massimo Gioioso e dello zio Vincenzo». I due si erano proposti di risolvere il problema degli incendi. Avevano aggiunto che conoscevano alcuni personaggi in grado di fermare la mano degli ignoti incendiari. In realtà, sostiene l’accusa, erano stati proprio zio e nipote di origine calabrese a dare fuoco all’autocarro della vittima a Valeggio. Ciononostante, i due avevano chiesto e ottenuto 20.000 euro dal veronese per garantirgli la protezione. La consegna era avvenuta nel magazzino della vittima a Sona nell’agosto 2018. MINACCE CONTINUE. Dopo la consegna dei soldi, i due malavitosi avevano continuato a perseguire il loro disegno. Avevano rivolto le loro pretese ad un altro imprenditore di Lazise, cognato della prima vittima. Solo che il proprietario del camping non ha mai piegato la testa di fronte a zio e nipote nonostante il 28 ottobre 2018 i due, a parere dell’accusa, gli avessero bruciato una casa mobile proprio nel suo campeggio. Massimo Gioioso insisteva perchè chi gli aveva già dato ventimila euro, convincesse anche il cognato a dargli i soldi. Massimo Gioioso, riporta l’ordinanza, aveva ammonito la vittima, assistita da Francesco Delaini, «dicendo che prima o poi sarebbe uscito dal carcere mentre la vittima non si sarebbe potuta permettere una guardia del corpo per tutta la vita». E ancora: il 10 gennaio scorso, lo stesso Massimo Gioioso aveva intimato «di trovargli un buco per lavorare altrimenti ti faccio un buco qui». Il giorno dopo, il quarantaseienne non aveva usato molto diplomazia con la sua vittima: «Con me ti stai comportando male, perchè gli altri li fai lavorare e a me no». L’atteggiamento dei due Gioioso aveva dato i suoi frutti. E ciò che emerge da un’altra intercettazione nei quali Massimo Gioioso informa lo zio che la vittima gli aveva trovato il lavoro e aggiunge: «Questo qua ha paura, non ci dorme la notte». Il momento giusto per chiedergli altro danaro tanto che lo zio Vincenzo sempre intercettato dai carabinieri, dice al nipote: «Si fa l’appuntamento con il cognato». Il nipote aggiunge: «Digli che non siamo in due, digli che siamo in tanti». Ma a quel punto, l’imprenditore di Sona si era già rivolto ai carabinieri di Lazise che lo avevano convinto a vuotare il sacco. Il 6 dicembre 2019 decideva di sporgere querela contro i due Gioioso. Non lo aveva fatto prima perchè aveva paura, riporta l’ordinanza, «per la sua incolumità fisica» e dei suoi cari. •

Giampaolo Chavan

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