<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Pochi braccianti, tante cimici e addio frutta

Pietro Spellini mostra alcuni frutti della sua terra rovinati dalla cimice asiatica
Pietro Spellini mostra alcuni frutti della sua terra rovinati dalla cimice asiatica
Pietro Spellini mostra alcuni frutti della sua terra rovinati dalla cimice asiatica
Pietro Spellini mostra alcuni frutti della sua terra rovinati dalla cimice asiatica

Le restrizioni sugli ingressi dall’estero dei lavoranti, la pesantezza della burocrazia e l’andamento dei prezzi di vendita stanno mettendo in serio pericolo alcune produzioni agricole che facevano parte della tradizione del Villafranchese. Il risultato è la perdita di percentuali di prodotto sempre più consistenti. Sono molti, infatti, gli imprenditori agricoli che si vedono costretti a lasciare sulle piante la frutta, perché non hanno le risorse necessarie per raccoglierla. «Nell’ultimo anno, la quota di manodopera estera destinata al Veronese è stata tagliata drasticamente», afferma Pietro Spellini, un produttore di Villafranca. «Le aziende agricole della nostra provincia hanno chiesto che venga autorizzato l’ingresso di 1.000 lavoranti, la Prefettura ha comunicato che potevano entrarne solo 300», precisa. «A causa di questa situazione, per primo chi ha coltivazioni sotto serra, alle quali gli italiani difficilmente vogliono dedicarsi, si trova a dover affrontare gravi problemi», aggiunge. Non sono pochi coloro che, specialmente nella zona che va da Isola della Scala a Vigasio e Buttapietra, ma anche a Valeggio e Villafranca, non possono far altro che non raccogliere il prodotto per cui avevano lavorato per mesi. «Oltre alla riduzione dei flussi, che è in essere da qualche anno ma che nel 2019 è stata molto più forte che in passato, chi per la raccolta deve far conto su personale esterno, ha anche il problema della burocrazia», aggiunge Spellini. «Per far lavorare una persona, posto che la si trovi, è necessario assumerla; questo significa spendere molti soldi in pratiche, anche per impieghi che durano solo qualche giorno, o addirittura che nemmeno prendono avvio». «Fino a pochi anni fa potevamo usare i voucher, e tutto era più semplice, mentre ora è necessario passare giornate fra uffici e consulenti», sottolinea Spellini. «Intanto», sottolinea, «i Paesi nostri concorrenti, come la Spagna, continuano a poter contare, per la gestione dei lavoratori stagionali, su strumenti molto meno onerosi e più agili». Se i braccianti stranieri sono obbligatoriamente molti meno del previsto, quelli italiani, come accade da parecchi anni, sono sicuramente pochi. «Nella mia azienda siamo costretti a lasciare sul campo notevoli quantità di prodotto, perché non è possibile raccoglierlo come dovrebbe essere fatto», rimarca Roberto Bogoni, che a Buttapietra ha con i suoi familiari un’azienda in cui si producono principalmente fragole e fagiolini. «Ogni anno facciamo domanda di stagionali stranieri, ma è sempre più difficile che le richieste vadano a buon fine», spiega Bogoni. «Normalmente viene confermato l’ingresso di coloro che lavorano qui per più anni, ma non basta. Specialmente per quanto riguarda le fragole, per evitare contestazioni al momento della vendita, è necessario avere delle accortezze nella raccolta che non sono possibili con la manodopera disponibile: servono in particolare donne, di cui però spesso non viene autorizzato l’arrivo». «Quest’anno abbiamo già dovuto lasciare sul campo 350 quintali dei 1.050 della nostra produzione di fragole e 1.000 quintali di fagiolini, più della metà di quelli che avevamo fatto crescere», dice sconsolato il coltivatore buttapietrino. «Attualmente mi mancano circa 35 persone, ma in alcuni momenti erano addirittura più di 50; finora è stata una pena, vedremo cosa succederà con le produzioni autunnali». «Se va avanti così l’agricoltura veronese è destinata se non a sparire quantomeno a ridimensionarsi significativamente già nel giro di 5-6 anni», sottolinea Bogoni, il quale fa l’esempio della coltivazione delle fragole nel suo paese. «Fino a qualche anno fa venivano seminate dappertutto, tanto che si è instaurato un rapporto di amicizia molto forte con alcune aree dell’Abruzzo da cui provenivano coloro che nei decenni scorsi facevano la raccolta, mentre adesso siamo rimasti in pochi a coltivarle, con l’incognita di riuscire poi a venderle». «O ci aiutano, aumentando le quote e riducendo la burocrazia, o i paesi esteri nostri concorrenti ci surclasseranno», aggiunge Spellini, il quale sottolinea che, per quanto riguarda soia e frutta, i produttori si trovano a fare i conti anche con il flagello della cimice asiatica: «Nella mia azienda siamo passati da una produzione di pere che nel 2017 era di 480 quintali, ai 180 quintali del 2018 ed ai 28 di quest’anno, ma ci sono grandi problemi anche per quanto riguarda pesche e mele; mentre l’insetto solo ora sta iniziando ad attaccare l’uva». Senza contare che in alcuni casi le quotazioni di mercato sono così basse che i contadini preferiscono lasciare il prodotto dov’è, non riuscendo a sostenere i costi della raccolta. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Luca Fiorin

Suggerimenti