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VILLAFRANCA

Operazione riuscita
Colombi spazzati via
da falchi e falconiere

Vittorio De Marchi con uno dei suoi falchi con i quali allontana i colombi FOTO PECORA
Vittorio De Marchi con uno dei suoi falchi con i quali allontana i colombi FOTO PECORA
Vittorio De Marchi con il falco /1 (video Pecora)

Sfatiamo una romanticheria: il falco non è un animale socievole e non si affeziona al suo falconiere. Non ama neppure lavorare in gruppo. Volare su aziende e luoghi pubblici per lui è un mestiere ripagato con un pugno di carne a fine operazioni.

È così anche per la femmina di falco di Harris, specie americana, al braccio di Vittorio De Marchi. Essa è una dei tre rapaci che due volte la settimana presidia il cielo sul cimitero di Villafranca, spaventando i piccioni che hanno assediato tombe e cappelle. Il caso è scoppiato l'anno scorso: una colonia di colombi si è annidata tra la cappella centrale, le tombe di famiglia e le tettoie, imbrattando le lapidi dove i cittadini andavano a posare un fiore per i loro cari, tra sterco, uova schiuse e pulcini morti e caduti dal nido. A nulla sono serviti gli spilloni e le barriere fisse. Così l’amministrazione comunale è ricorsa, per una spesa di 10mila euro, al falconiere che da gennaio visita il cimitero al tramonto liberando due tre rapaci. I risultati si vedono, eccome: in circa 6 mesi, i colombi sono spariti per il 90 per cento. Su questo si basa l’operazione di controllo con i falchi: «I piccioni si abituano ai dissuasori passivi», spiega De Marchi, «basti vedere che nidificano tra gli spilloni. Ma la preda non si abitua al predatore. Con la presenza del falco, i colombi sono continuamente sotto stress, non sapendo quando possa arrivare». Così sono spinti a trovarsi un altro alloggio.

De Marchi, 39 anni, da 10 falconiere, con i suoi rapaci lavora per aziende private, dove colonie di colombi dimorano sui tetti, e per Comuni. «È un mestiere che si impara a bottega e l’ho appreso girando in Italia ed Europa, sulle piste degli aeroporti di Bari, Parma e in Austria». Le incursioni devono avere un tempo prolungato: anche se i piccioni sono quasi spariti, De Marchi proseguirà fino a dicembre, comprendo così un intero ciclo biologico dei colombi.

I predatori si alzano in volo per circa un’ora. «Non è una tecnica medievale. Qui si applica l’etologia e la biologia. Non si tratta di caccia: i falchi con la loro presenza spaventano i colombi. Lavoriamo di sera, all’interno del cimitero, perché è il momento in cui i piccioni vengono a riposare e si aspettano ci sia calma e tranquillità e non il predatore che per istinto insegue la preda. I falchi volano in due o tre, hanno già segnato il loro territorio di caccia, cercano i colombi, li inseguono e li mettono in fuga».

I rapaci sono sempre più utilizzati per questo problema e l’attività del falconiere - che non è falconeria, ovvero la caccia con i falchi - ha preso molto piede con l’aumentare di colombi e piccioni, specie nelle città. «Ma questo è un lavoro che esige professionalità, animali addestrati ed esperienza per sapere cosa fare. Non basta avere un falco», continua De Marchi. Né basta avere un rapace qualsiasi. La scelta della specie «American» è dettata dal fatto che i suoi esemplari lavorano bene anche in gruppo, essendo più tranquilli: «I falchi italiani sono meno socievoli e non possono lavorare in coppia o a tre».

Il volatile è addestrato per tornare al pugno del falconiere perché sa che otterrà qualcosa da mangiare: quaglie, ratti, colombi decongelati e controllati. Sono infatti falchi nati in cattività secondo legislazioni restrittive che prevedono persino la registrazione del Dna per evitare la pratica del bracconaggio: «Una pratica che, purtroppo, è ancora molto diffusa», conclude De Marchi. «In Sardegna, di recente, sono stati sottratti dal nido alcuni cuccioli di aquila». Sono, infine, abituati sì alla presenza dell’uomo e non lo aggrediscono, ma non si affezionano né amano il pubblico. Hanno altro da fare.

Maria Vittoria Adami

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