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No migranti, venti indagati per razzismo

Il gazebo del presidio di protesta a TrevenzuoloUna manifestazione contro l’apertura di un centro migranti in provincia di Verona
Il gazebo del presidio di protesta a TrevenzuoloUna manifestazione contro l’apertura di un centro migranti in provincia di Verona
Il gazebo del presidio di protesta a TrevenzuoloUna manifestazione contro l’apertura di un centro migranti in provincia di Verona
Il gazebo del presidio di protesta a TrevenzuoloUna manifestazione contro l’apertura di un centro migranti in provincia di Verona

Gli atti di intolleranza manifestati nel luglio del 2017 per contestare l’arrivo a Roncolevà di Trevenzuolo di un gruppo di richiedenti asilo sfociano in un processo per razzismo. Il procuratore di Verona Angela Barbaglio, che già allora aveva definito quelle iniziative come degne di indagini approfondite, ha chiesto per quei fatti un processo con rito direttissimo per una ventina di persone per violazione della legge Mancino, la normativa in vigore dal 1993 che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Il processo è destinato a far luce su aspetti sinora rimasti oscuri di alcune azioni eclatanti. A Trevenzuolo, in particolare, qualcuno era arrivato persino a profanare una tomba al cimitero. «Considerato che i reati contestati prevedono che il giudizio venga svolto davanti ad un collegio, non ho potuto esercitare l’azione penale in forma diretta, ma ho chiesto la disponibilità del tribunale per l’indizione dell’udienza nella quale ci sarà la citazione degli imputati», spiega il procuratore Barbaglio, che sta attendendo la definizione delle date in cui potrà essere svolto il dibattimento. Nell’estate di due anni fa in una villetta di Roncolevà, che era stata acquistata da una cooperativa piemontese, erano stati accolti 40 profughi. Contro questa venuta c’è stata una levata di scudi da parte dei residenti e sono state indette manifestazioni. Ad una delle quali hanno partecipato anche sei sindaci del territorio. Non sono le iniziative civili di dissenso quelle che sono finite nel mirino della procura, per quanto esse abbiano visto fianco a fianco rappresentanti delle istituzioni e di movimenti di estrema destra. Evidentemente, a divenire oggetto di indagini sono state le vicende nelle quali sono stati compiuti atti illeciti. Da questo punto di vista, a Trevenzuolo è accaduto più di un fatto degno di attenzione. C’è stata una sassaiola contro la villetta in cui vivevano gli aspiranti profughi. È stato denunciato il danneggiamento del parabrezza dell’auto del presidente della cooperativa che ospitava gli immigrati. Infine, è stata profanata la tomba del padre del vicesindaco Cesare Carreri e di Giacomo, attivista di diritti civili. Nei giorni delle proteste, il sepolcro di Amedeo Carreri, morto un anno prima, era stato vandalizzato con una mazza che aveva spaccato la fotografia del defunto, la lapide ed una lampada votiva. Un’iniziativa, questa, che è stata da subito collegata alla presenza di Giacomo Carreri, universitario con un passato di iscritto al Pd, ad un incontro pubblico indetto dal sindaco Roberto Gazzani sul tema-migranti. In quella occasione Carreri aveva filmato gli interventi di Alessandro Rancani, il portavoce del comitato Verona ai Veronesi, che comprendeva vari esponenti di destra ed era in prima linea qui come da altre parti contro l’arrivo dei profughi, e di una rappresentante del comitato dei cittadini di Roncolevà. Lo stesso Carreri, all’epoca, ha spiegato di essere diventato assieme alla sua famiglia oggetto di quella che era una chiara azione intimidatoria, perché ritenuto erroneamente l’autore di uno scritto di critica alle posizioni anti-immigrati diffuso dal movimento Veronesi aperti al mondo. Quello che è certo è che quei fatti sono avvenuti nel pieno di un periodo in cui si stavano registrando in giro per la provincia parecchie situazioni turbolenti. Negli ultimi giorni dell’ottobre 2015 cinque giovani, poi identificati e condannati in seguito a patteggiamento, avevano fabbricato e fatto esplodere tre ordigni davanti all’Hotel Genziana di Prada, in cui erano ospitati 80 rifugiati. Nel febbraio del 2017 è stata fatta scoppiare una bomba carta ad Aselogna di Cerea, davanti alla casa in cui si trovavano 20 richiedenti asilo. Nel luglio successivo, negli stessi giorni delle azioni di Roncolevà, è stato dato alle fiamme un rustico in località Giare di Sant’Anna d’Alfaedo, che avrebbe dovuto accogliere dei migranti. «Bisogna vedere se ci sono strumentalizzazioni politiche dietro a questa serie di attentati», diceva allora Angela Barbaglio, preoccupata in particolare delle intimidazioni. «Sono tutti episodi da scandagliare», aggiungeva, riferendosi anche alle iniziative prese da chi aveva, a Trevenzuolo, «seguito, filmato e fotografato i profughi». Evidentemente, visto che ora la procura contesta la violazione della legge Mancino, per gli inquirenti una matrice ideologica potrebbe essersi davvero manifestata. •

Luca Fiorin

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