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L'indagine

’Ndrangheta nel Villafranchese e sul Garda: scoperti boss e gregari

L’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros di Padova
L’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros di Padova
L’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros di Padova
L’indagine Taurus è stata condotta dai carabinieri dei Ros di Padova

I componenti delle famiglie Gerace, Albanese, Napoli e Versace hanno costituito una struttura «con autonomia operativa» appartenente alla ’ndrangheta, «basata su regole e cariche proprie dei Crimini di polsi (il direttorio della ’ndrangheta sui tre mandamenti calabresi ndr)». Questa organizzazione locale operava «nei Comuni di Sommacampagna, Villafranca, Valeggio sul Mincio, Lazise, Isola della Scala e in altri luoghi della provincia di Verona». Il primo capo d’imputazione dell’avviso di fine indagine dell’operazione «Taurus», firmata dai pm veneziani Patrizia Ciccarese e Andrea Petroni chiarisce subito il livello di infiltrazione delle organizzazioni criminali nella nostra provincia. E se non bastassero solo quelle poche righe, sono i numeri del provvedimento della Direzione distrettuale antimafia di Venezia a parlare da solo: gli imputati sono ottantaquattro, residenti tra il Villafranchese e altre zone del Veronese mentre sono centonove i capi d’imputazione di cui a vario titolo devono rispondere gli indagati.

LE ACCUSE. I reati, elencati nelle 73 pagine del provvedimento relativo all’indagine condotta dai Ros di Padova e coordinata dalla Dda di Venezia, rappresentano lo spaccato più fedele delle organizzazioni criminali in salsa veronese. Tra le accuse, vengono descritti venticinque casi di estorsioni, tredici episodi di riciclaggio di danaro sporco, otto storie di usura, una decina di furti ed emergono tre gruppi di indagati impegnati nello spaccio di droga di cui uno legato alla cosca di Gioia Tauro in Calabria, Mole Piromalli. Ci sono poi una decina di episodi di fatturazioni per operazioni inesistenti tra imprese del Veronese e quelle calabresi. In questo caso, però, gli investigatori tirano in ballo la cosca già ben conosciuta con l’operazione Aemila della Dda di Bologna, dei Grandi Aracri di Cutro insieme agli Arena e ai Nicoscia. Si tratta di un quadro inquietante, fotografato dagli investigatori dei Ros di Padova grazie ad intercettazioni telefoniche e ambientali, i dati del gps collocato nelle autovetture degli indagati, le videoriprese, gli esiti di accertamenti bancari e rogatorie internazionali, i pedinamenti e i tabulati del traffico telefonico.

ARRIVO DALLA CALABRIA. La storia delle infiltrazioni criminali nella nostra provincia parte da lontano dai primi anni ’80 quando tra Sommacampagna, Villafranca e altri paesi della provincia arrivarono gli appartenenti alle cosche, spediti al confino dai tribunali calabresi, campani e siciliani. Basta pensare che proprio il capo d’imputazione relativo all’associazione a delinquere di stampo mafioso dell’operazione Taurus si conclude, definendo il periodo di presenza di questa organizzazione legata alla ’ndrangheta nel Veronese, dal 1981 fino al giorno dei 33 arresti, risalenti al luglio scorso.

GLI INDAGATI. Ed è così che spuntano i nomi degli indagati di oggi, figli di quel periodo di 40 anni fa: a partire da Carmine e Mario Gerace, 40 e 38 anni, ora detenuti per questa vicenda Carmine viene indicato dall’accusa come «elemento apicale della struttura veronese della ’ndrangheta». Sono figli di Filippo Gerace, morto all’ospedale di Peschiera, il 5 dicembre 2018. Era stato in carcere dal 30 marzo 1982 fino 20 settembre di due anni fa. Era stato rilasciato perchè le sue condizioni di salute non erano compatibili con il regime carcerario. Il padre dei Gerace era approdato a casa di una zia a Sommacampagna dove aveva trascorso gli ultimi giorni della sua vita. Era stato condannato all’ergastolo. «Deve ritenersi», riporta l’ordinanza di custodia cautelare, «che l’affiliazione di Filippo Gerace alla ’ndrangheta possa desumersi nell’ambito del processo della «Mafia delle tre province», passata in giudicato il 3 aprile 1997. Anche in quel caso, precisa il provvedimento del gip veneziano, Francesca Zancan, «Filippo Gerace era stato condannato per associazione a delinquere ma non di stampo mafioso». È la motivazione della sentenza di 23 anni fa , aggiunge il gip, a dare «ampiamente conto che quella struttura avesse invece, i connotati del sodalizio di stampo mafioso». Tra gli indagati nell’operazione Taurus per associazione a delinquere di stampo mafioso, c’è poi Antonio Albanese, 60 anni, indicato come «Capobastone», che vuol dire a capo di una ’ndrina locale come nel Veronese. Altro nome clou dell’inchiesta è quello di Giuseppe Napoli, 64 anni, definito dall’accusa «Mastro di giornata», ovvero chi svolge la funzione di portavoce del capo. I due vengono considerati dall’accusa molto vicini al capo, Gerace detto «Carminello». Gli altri indagati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso sono Giuseppe, Francesco e Diego Versace, 60, 57 e 66 anni, e Agostino Napoli, 52 anni, ora detenuto. Un po’ curiosa la situazione del gestore di una tabaccheria a Caselle di Sommacampagna: il tribunale del riesame di Venezia aveva cancellato per lui questa pesantissima accusa di associazione a delinquere ma pochi giorni fa, i pm della Dda l’hanno riproposta nel loro provvedimento.

LE VITTIME NON PARLANO. Nel casi di estorsione nel Veronese, non si è registrata da parte degli investigatori del Ros una collaborazione spontanea di chi doveva denunciare i soprusi subiti come le estorsioni. «Quasi mai», si legge nell’ordinanza, «sono state sporte denunce» e le dichiarazioni contro gli estorsori «non sono generalmente riconducibili al senso civico quanto piuttosto dalla consapevolezza di non avere altra via d’uscita». •

Giampaolo Chavan

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