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La storia

L’oro arriva dopo 57 anni. Luigi Roncaglia: «Io lo persi per un soffio»

Luigi Roncaglia mostra il suo argento olimpico di 57 anni fa (Dienne)
Luigi Roncaglia mostra il suo argento olimpico di 57 anni fa (Dienne)
Luigi Roncaglia mostra il suo argento olimpico di 57 anni fa (Dienne)
Luigi Roncaglia mostra il suo argento olimpico di 57 anni fa (Dienne)

«È stata una corsa bellissima. Dopo un iniziale svantaggio il nostro quartetto tricolore, guidato da Filippo Ganna, è riuscito nell’impresa dove invece io e i miei tre colleghi abbiamo fallito per un soffio. Per soli sette centesimi la Germania ci batté nell’inseguimento a squadre».

È il commento a caldo davanti al televisore durante la diretta da Tokyo di Luigi Roncaglia, medaglia d’argento appunto nella stessa disciplina 57 anni fa proprio alle Olimpiadi di Tokyo.

Classe 1943, ex ciclista professionista nell’inseguimento a squadre e individuale, Roncaglia vive a Trevenzuolo dal 1969, quando sposò Franca Ginelli, trasferendosi dal paese natale di Castiglione Mantovano. L’ex olimpionico, nell’assistere alla gara durata poco più di tre minuti, con la mente è tornato indietro nel tempo di oltre mezzo secolo, ricordando quei pochi ma intensissimi minuti.

«Eravamo ad un giro a mezzo dal traguardo», ricorda, «e durante il cambio di testa tra di noi, il collega che doveva posizionarsi appunto in testa al gruppo ha rallentato l’andatura costringendomi a contropedalare per evitare di tamponarlo. Una mossa che ci ha penalizzato. In aggiunta, avevo nel frattempo forato e questo mi costringeva a una velocità ridotta rispetto alle mie potenzialità. Una concomitanza di eventi che di fatto ci fece perdere la medaglia d’oro».

Alle spalle Roncaglia ha una storia da raccontare e da conoscere. «La mia era una famiglia di agricoltori. Eravamo in nove fratelli e tutti pronti a sostenermi in questa mia passione». La sua prima bici fu una Chesini. «Io e uno dei mei fratelli decidemmo un giorno di rompere i nostri salvadanai e con le mance raccolte andammo a Villafranca per acquistare una bici usata, appunto una Chesini, visto che una nuova non potevo permettermela perché costava troppo».

Roncaglia ricorda che, essendo il più piccolo dei fratelli, era controllato a vista. «Una domenica sera rientrai a casa a notte fonda, oltre l’orario concordato con i genitori. Così, il mattino successivo», continua, «per punizione mi fecero alzare alle 4 per mungere le vacche. Finita la punizione, volevo andare a fare un giro di allenamento con la bici appena acquistata, ma mi fu proibito. La punizione prevedeva anche questo supplemento di pena».

I fratelli erano però solidali e, per permettergli di allenarsi e partecipare alle gare, erano disposti anche a lavorare per lui. Roncaglia iniziò a gareggiare nel 1959 come esordiente con la squadra Learco Guerra di Mantova. Nel 1964, riscattò la sconfitta olimpionica partecipando al campionato del mondo di inseguimento individuale al Velodromo Vigorelli di Milano. Sulla distanza di quattro chilometri stabilì il record mondiale (4’52”) durato per ben 24 anni.

Nel 1965 fu secondo al mondiale inseguimento a squadre a San Sebastian (Spagna) e poi nel 1967 ancora secondo ad Amsterdam (Olanda). Nel 1966 medaglia d’oro ai campionati mondiali di inseguimento a squadre a Francoforte (Germania). Alle Olimpiadi in Messico (1968), nella stessa specialità, medaglia di bronzo e, sempre quell’anno, medaglia d’oro ai mondiali di Montevideo (Uruguay).

Nel 1969 secondo posto alla Sei giorni su pista a Melbourne (Australia) in coppia con l’australiano Ryan. Lì firmò un contratto di tre mesi e partecipò a corse ciclistiche sia in Australia sia in Nuova Zelanda. Ritiratosi a 27 anni, divenne vigile urbano a Mantova.

Dal matrimonio ha avuto tre figli: Ingrid, la più grande, suora di clausura dal 1999, Francesca, e poi Alessio, il più giovane. Questi, appassionato di calcio e poi di ciclismo, dovette smettere di giocare per infortuni. Decise quindi di dedicarsi al ciclismo come amatori. Ma anche lì è stato sfortunato per un paio di gravi incidenti in bici negli allenamenti.

Prima di lasciarci, Roncaglia ha voluto ricordare gli altri tre amici-colleghi della squadra di Tokyo 1964: Vincenzo Mantovani, di Castel d’Ario (Mantova), Franco Testa, di Treviso e Carlo Rancati, di Milano. «È giusto che si sappiano i nomi di noi “mancati eroi” alle Olimpiadi giapponesi di 57 anni fa».

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