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È morto il maresciallo Cubello Fu il «papà» degli avieri di leva

Luigi Cubello e il suo piccione
Luigi Cubello e il suo piccione
Luigi Cubello e il suo piccione
Luigi Cubello e il suo piccione

Era una leggenda del Terzo Stormo di Villafranca. La parola è grossa (anche se di questi tempi poco leggendari è diventata di uso comune), ma Luigi Cubello, morto a 91 anni di covid alla casa di riposo di Lugagnano dov’era ricoverato dal 2011, è stato veramente una figura mitica dell’aeronautica militare, da additare come esempio di rettitudine, altruismo, sacrificio e coraggio pur non avendo medaglie d’oro o solenni encomi da mostrare, né gradi importanti sulle spalline. Era un maresciallo. Anzi, «il Maresciallo». Anima e cuore del Quattro Gatti. Entrato giovanissimo nell’Arma Azzurra come fotografo specialista, mai sposato, trovò in essa la sua famiglia e migliaia di figli. Lo chiamavano il «papà dei Vam», di quegli avieri, cioè, che si occupano di vigilanza militare intorno alla base di Caluri. Un tempo, 40 e più anni fa, la vita di questi giovani militari, tutti di leva, era durissima: guardiole e garritte al gelo d’inverno, soffocate dall’afa in estate. Cubello, a spese sue, fece di tutto per aiutarli a svolgere il loro dovere senza patire le pene dell’inferno: acquistò ventilatori, stufette, scaldini. Era arrivato a far posare un pavimento in legno sulle altane perché le guardie non si gelassero i piedi d’inverno. I Vam lo chiamarono «papà» e non dimenticarono più quest’ometto che trattava la divisa come la bandiera, con onore e rispetto. Fu il «papà» anche dei «pulcini», di quegli avieri implumi e senza ali che entravano nell’Arma Aerea, ma che per tutto il periodo di leva non avrebbero messo piede su un velivolo. Il maresciallo «papà» lo giudicava ingiusto, così, sempre a spese sue, organizzava voli su aerei di trasporto per far toccare il cielo con un dito ai giovanotti in divisa e bustina mostrando loro le meraviglie del territorio veronese dal cielo: il Garda, Verona, Villafranca... Non contento, lui- paracadutista con decine e decine di lanci, coraggioso fino a rischiare la pelle aprendo il paracadute a bassa quota-organizzò (sempre a sue spese) corsi di paracadutismo che raccolsero parecchi iscritti e altrettanti consensi. A Caluri, alla base operativa, ci andava sempre a piedi da Villafranca: tre chilometri all’andata e tre al ritorno, 365 giorni all’anno per almeno quarant’anni perché anche quando era di licenza sentiva il bisogno di rientrare a casa, che non era l’angusto alloggio del Villaggio Azzurro, ma il «campo» con i suoi attori e i suoi rumori: la pista, gli hangar, le cerimonie, le margherite dove sostavano ben allineati prima gli RF-84 F Thunderflash, poi gli «Spilloni», gli RF-104 Starfighter dei gruppi di volo: il 18° (Ocio che te copo), il 28° (Le streghe), il 132° (Sempre i soliti). Sei chilometri al giorno, moltiplicati per 40 anni vuol dire fare a piedi almeno una volta il giro del mondo (tenendoci molto ma molto cauti). Cubello era così, sempre pronto a dare il massimo. Anche in pensione fu socialmente attivo: marciò su Venezia (questa volta in pullman) quando si temette la chiusura dell’ospedale Magalini; fu segretario dell’Università del tempo libero. Truffato di 200 mila lire per strada raccontò in televisione a Massimo Gilletti: «Fui ipnotizzato, ma meglio essere derubati che rubare agli altri. L’altruismo innanzi tutto». Lo era talmente che un giorno raccolse in strada un piccione in fin di vita e lo portò dal veterinario. «Pago io le spese, lo guarisca». Il veterinario gli obbiettò che gli sarebbe costato la pensione, ma lui replicò: «Lo guarisca». Il medico guarì il piccione e, commosso, non volle una lira. Divenne famoso per una corrispondenza con il criminale di guerra Erich Priebke, uno degli autori della strage delle Fosse Ardeatine. Perché queste lettere con uno sterminatore di civili? «Per pietà, perché era in carcere da una vita, per provocazione perché i criminali sono sempre dalla parte dei vinti e mai dei vincitori. Ma non l’ho mai considerato più di quello che era. Cos’è un eroe? Uno che dà la vita per gli altri, innocente. Salvo D’Acquisto fu un eroe». •

Morello Pecchioli

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