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Condannato a 20 anni

Sta male e deve curarsi, sospesa la pena all'autore del duplice omicidio di Buttapietra

Filippo Manzo fu condannato prima all'ergastolo e poi a 20 anni di reclusione per aver ucciso Martino Mazza e il figlio Pietro nel 2015
Filippo Manzo, condannato per aver ucciso, nel 2015, Martino Mazza, 48 anni e il figlio Pietro di soli 24
Filippo Manzo, condannato per aver ucciso, nel 2015, Martino Mazza, 48 anni e il figlio Pietro di soli 24
Filippo Manzo, condannato per aver ucciso, nel 2015, Martino Mazza, 48 anni e il figlio Pietro di soli 24
Filippo Manzo, condannato per aver ucciso, nel 2015, Martino Mazza, 48 anni e il figlio Pietro di soli 24

Filippo Manzo sta male. Molto male. Ma è anche l’autore di un duplice omicidio. Il 14 marzo 2015 ha ucciso Martino Mazza, 48 anni e poi il figlio Pietro di soli 24, in via Verdi a Buttapietra. Quello stesso giorno è stato arrestato. È finito in carcere e ci è rimasto fino al 29 novembre 2021. Poi è scattato il «differimento pena»: vuol dire che la detenzione è sospesa fino a quando guarirà e solo da quel giorno, continuerà a scontare vent’anni di pena. 

Per la fine della sua espiazione, mancano 11 anni, 5 mesi e 18 giorni. Gli altri li ha già scontati e, a parte, ha già maturato 585 giorni di liberazione anticipata. Ora si trova in una casa protetta nel sud Italia. Potrà curarsi almeno fino al 28 settembre 2024 e poi se le sue condizioni di salute saranno compatibili con la detenzione in carcere, tornerà in cella. E finirà di scontare la sua pena. Chiuderà i suoi conti con la giustizia, quindi, il 13 marzo 2035 quando avrà 73 anni, sconti di pena e altri benefici permettendo.

Il delitto

E così chiuderà il capitolo delle sue disavventure, aperto nove anni fa. Sparò otto colpi di pistola quella mattina all’indirizzo di Martino e Pietro Mazza. Ma solo due furono determinanti. I primi. Centrò in testa le due vittime. E morirono subito, stabilirono le perizie discusse nei tre gradi di giudizio. Poi infierì sui due cadaveri e schiacciò il grilletto altre sei volte, tre a testa, quando le due vittime, però, erano già morte.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, Manzo sparò a padre e figlio mentre stavano lasciando la sua casa. Avevano appena avuto un diverbio. Questioni di soldi. Si parla di seimila euro. Manzo avrebbe fatto un lavoro edile per l’impresa di Mazza che, secondo la sua versione, non gli sarebbe stato mai pagato. Da qui la lite, avvenuta la sera prima del duplice omicidio. E poi la resa dei conti, il giorno dopo, a suon di colpi di pistola. Manzo non si è mai mosso dalla sua tesi difensiva, ripetuta nei tre gradi di giudizio: «Mi sono solo difeso», ha sempre detto. 

Una sorta di tesi boomerang. Le sue giustificazioni venivano proposte nell’aula di un tribunale e le sei sentenze gliele hanno sempre rispedite addosso. 

Condanna

Il 20 novembre 2015, fu condannato all’ergastolo con il rito abbreviato dall’allora gup di Verona, Giuliana Franciosi. Il 2 aprile 2017, la Corte d’appello confermò l’ergastolo. Il 24 ottobre 2018, la Cassazione cancellò l’aggravante della crudeltà e rispedì il fascicolo alla Corte d’appello. Non si può parlare di questa aggravante è il riassunto del pensiero dei giudici di ultima istanza perché quando infierì con altri sei colpi di pistola alle due vittime davanti alla sua abitazione, erano già morte. Non c’era crudeltà. E così il fascicolo è tornato in riva alla Laguna.

Il 22 maggio 2019, i giudici di secondo grado gli riducono la pena a vent’anni in quanto Manzo li ha uccisi ma è stata cancellata l’aggravante della crudeltà. Ma nella mente di Manzo e dei suoi difensori, Stefano Marcolini e Felix Amato, restava il chiodo fisso della legittima difesa. 

Manzo e difensore ci hanno riprovato in Cassazione, hanno rimesso sul tavolo anche altre carte tra cavilli ed eccezioni. Questa volta, però, al Palazzaccio a Roma, hanno messo la pietra tombale sul processo: hanno respinto il ricorso e hanno confermato la condanna a vent’anni in via definitiva. 

Era l’otto marzo 2021. Sono trascorsi poco più di sei mesi e Manzo ha visto riaprirsi il portone del carcere e rivedere un orizzonte senza sbarre. Ora ha la pena sospesa. Ha chiesto di poter continuare a scontare la pena ai domiciliari. 
Ma il giudice di sorveglianza gliel’ha negata. E quando sarà guarito dovrà tornare in cella per finire di scontare altri undici anni, cinque mesi e diciotto giorni.

Giampaolo Chavan

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