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Dai 45 chili in prigionia ai cent’anni d’età

Marino Ambrosi con le figlie Silvana, Maria Rosa, Fernanda e Fiorenza FOTO PECORA
Marino Ambrosi con le figlie Silvana, Maria Rosa, Fernanda e Fiorenza FOTO PECORA
Marino Ambrosi con le figlie Silvana, Maria Rosa, Fernanda e Fiorenza FOTO PECORA
Marino Ambrosi con le figlie Silvana, Maria Rosa, Fernanda e Fiorenza FOTO PECORA

L’ultimo reduce di Palazzolo, Marino Ambrosi, compie cento anni e, celebrando la vita per avergli dato un tempo così lungo, rimanda la mente ai ricordi più dolorosi, quelli della guerra. Artigliere alpino della Divisione Tridentina, era partito per il fronte occidentale quando aveva appena vent’anni. Poi l’Albania, la Russia e la prigionia in Germania. Quando è tornato a casa pesava quarantacinque chili. «Ho patito tanto la fame», racconta, «sono riuscito a resistere, ma tanti non ce l’hanno fatta». Sabato mattina, Ambrosi era a Soave per l’undicesimo pellegrinaggio al monumento dedicato ai caduti nella campagna di Russia, nel settantasettesimo anniversario della battaglia di Nikolajewka. Domenica, giorno del suo centesimo compleanno, davanti alla sua casa di Palazzolo si sono svolti i festeggiamenti ufficiali: il sindaco Gianluigi Mazzi, che era presente anche alla ricorrenza del giorno prima, gli ha consegnato una targa, in cui viene evidenziato come il suo «esempio straordinario di vita, impegno e valori» abbia arricchito la comunità sonese. Oltre al primo cittadino, sono intervenuti anche il parroco don Angelo Bellesini e Luigi Tacconi, presidente dell’associazione combattenti e reduci della frazione. E per fare gli auguri al centenario sono arrivati anche gli alpini e la banda di Sona. La memoria di Ambrosi è ancora solida: corre veloce ai fatti della guerra, che racconta nei dettagli, spesso dolorosi. Non dimentica nessuna data: ogni giorno di quei lunghissimi cinque anni è impresso indelebile nei suoi ricordi. In Russia le sue scarpe si erano congelate e pure i suoi piedi, attorno ai quali aveva messo degli stracci per coprirli come poteva. «E quando siamo tornati in Italia», racconta, «i fascisti ci hanno fatto il processo, perché non credevano al congelamento. Pensavano che fosse una scusa per non combattere». La vita di Ambrosi avrebbe potuto finire in guerra se un proiettile diretto alla sua testa non fosse andato a conficcarsi in un muro: quel giorno, mentre era in ritirata, il soldato ha avuto dalla propria parte un destino favorevole. Lo stesso che lo ha aiutato a tenere duro nei due anni passati in prigionia in Germania, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Di quei giorni ricorda la fame: «Ci facevano lavorare come schiavi, senza mangiare», ricorda. Racconta di quando un suo compagno aveva deciso di tagliare il reticolato, per prendere dalla cucina i rifiuti dei tedeschi. Gli era andata bene, era riuscito a tornare con mezzo secchio di avanzi: «Qualcosa ho mangiato anche io», dice Ambrosi. E si erano poi ritrovati a fare il brodo con un pezzo di scarpa, che avevano scambiato per un osso. E aggiunge: «Morivano una cinquantina di militari al giorno. I tedeschi avevano scavato una fossa lunga, e li mettevano dentro uno a uno». Tante sono le persone che ha visto uccidere, anche bambini. Ambrosi si è sposato a 33 anni, e ha vissuto un lungo e felice matrimonio con la moglie, morta nel 2009. Hanno avuto quattro figlie, otto nipoti e un pronipote. Ha fatto tanti lavori nella sua vita, compreso il barbiere. E fino a un anno fa tagliava ancora i capelli. Ha sempre letto i giornali e ancora oggi si interessa di politica: «Due partiti non possono fare un governo, perché è ovvio che contrastano l’uno con l’altro», afferma deciso. Oggi il mondo è completamente cambiato rispetto a quando lui aveva vent’anni. «I giovani di oggi non si interessano tanto di conoscere i fatti di allora», dice. E poi: «C’è troppo benessere e troppo spreco, bisogna che la gente faccia un passo indietro. E vedo poca voglia di lavorare. Una volta, quando non c’erano gli attrezzi ma solo la fatica, si andava al lavoro mezz’ora prima per non rischiare di perdere il posto». Il segreto di tanta longevità? Innanzitutto, la genetica: nella sua famiglia non è l’unico a godere del dono di una vita lunga. E poi «non mangiare troppo, stare un po’ in dieta». Fino a 92 anni Ambrosi guidava ancora la macchina, e la patente gli era anche stata rinnovata. Ha però deciso di non guidare più perché oggigiorno ci sono troppe rotonde, che lo confondono un po’. In tutta la sua eleganza, con tanto di cravatta, l’ultimo reduce di Palazzolo ha festeggiato cento anni di vita in buona salute e, soprattutto, con un bagaglio di esperienza e di saggezza che hanno molto da insegnare a chi, al giorno d’oggi, sa prendersi il tempo di ascoltare. Perché la memoria dei reduci non si perda. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Federica Valbusa

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