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Cassazione: «Il boss resti in carcere»

I carabinieri dei Ros durante un’operazione contro le organizzazioni mafiose
I carabinieri dei Ros durante un’operazione contro le organizzazioni mafiose
I carabinieri dei Ros durante un’operazione contro le organizzazioni mafiose
I carabinieri dei Ros durante un’operazione contro le organizzazioni mafiose

«Faccio più paura io alla gente di Verona che non chi è in carcere da cinquant’anni per ’ndrangheta». È una frase pronunciata da Emilio Versace (non indagato nell’operazione Taurus) che per gli investigatori è una delle affermazioni chiave intercettate per dimostrare la presenza di organizzazioni ’ndranghetiste nel Veronese. In quell’affermazione, c’è tutta la forza intimidatrice che incutono i clan nei confronti di chi tra gli imprenditori veronesi finisce nella loro rete. È una frase ripresa anche dalla sentenza della Corte di Cassazione che ha mantenuto in piedi l’impianto accusatorio nei confronti dei fratelli Carmine e Mario Gerace , 40 e 38 anni, ambedue in cella, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il clan era presente, si legge nell’ordinanza, principalmente nei territori di Sommacampagna, Villafranca, Valeggio Sul Mincio, Lazise e Isola della Scala e in altri Comuni veronesi. I giudici di ultima istanza hanno respinto l’istanza di scarcerazione per i fratelli Gerace e i due restano in carcere. L’INCHIESTA TAURUS. Carmine Gerace, chiamato Carminello, viene considerato dall’accusa. «elemento di vertice dell’articolazione autonoma operante in provincia di Verona in qualità di promotore e capo del sodalizio criminoso», riporta l’ordinanza di custodia cautelare. È il principali esponente del clan composto anche dalle famiglie Albanese, Napoli e Versace. È indagato con altre 81 persone nell’inchiesta Taurus dei carabinieri dei Ros di Padova, coordinati dai pm della Dia di Venezia, Patrizia Ciccarese e Andrea Petroni. Nella richiesta di rinvio a giudizio, sono riportati 109 capi d’imputazione tra estorsioni, spaccio di stupefacenti, evasioni fiscali e porto d’armi. Durante l’udienza preliminare in corso in queste settimane a Venezia, i due pm hanno richiesto 25 condanne per oltre un secolo e mezzo di carcere solo per chi tra gli 82 imputati ha chiesto il rito abbreviato. La Cassazione ha accolto solo in parte le richieste dei difensori dei Gerace, lasciando inalterata la parte cruciale dell’ordinanza che riguarda i due fratelli, residenti tra Gioia Tauro e Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria. LA PREMESSA . La premessa della sentenza della Corte di Cassazione è perentoria: non si parla più solo di «infiltrazioni» ma di uno «stabile radicamento» dei clan calabresi sul nostro territorio iniziato negli anni ’80 con il confino dei boss nella nostra provincia. I gravi indizi per il reato associativo emergono, a parere dei giudici «dallo spessore criminale dei soggetti appartenenti alle famiglia coinvolte nell’indagine Taurus». E, per l’accusa, i fratelli Gerace avrebbero costituito l’anello di congiunzione tra la cosca veronese e la Calabria. Emergono soprattutto le intercettazioni «dal tenore inequivocabile», intercettate dagli investigatori. La sentenza degli Ermellini cita, una conversazione tra i fratelli Versace, in cui i due convengono che «a Carmine (Gerace ndr) non lo toccano» dal momento che ormai dispone di «appoggi» non meglio specificati. Poi, però, i due intercettati manifestano il timore di essere uccisi «per farci il dispetto a Carmine». L’esistenza di uno stretto legame con la «casa madre» in Calabria emerge per gli investigatori, anche dalla circostanza che i contrasti emersi in Veneto tra i ’ndranghetisti vengono risolti in Calabria. Emerge così il caso di un debito vantato da Antonino Corica nei confronti di Santo Tirotta, altri due imputati nell’inchiesta Taurus, risolto proprio in terra calabrese e con l’intervento di Filippo Gerace, padre dei Gerace ora deceduto, dal carcere (vedi box a fianco). Nella sua ordinanza, il gip di Venezia cita anche l’intercettazione del 25 maggio 2014 nella quale Mario Gerace e Diego Versace, imputato nell’operazione Taurus, parlano delle tradizionali figure apicali nei clan ’ndranghetisti come «il mastro di giornata», il porta voce del capo e il «capo bastone». il boss di una ’ndrina. Per la Cassazione si tratta di un lessico «inequivocabilmente allusivo a cariche ed assetti tipici della ’ndrangheta» e utilizzati nel Veronese. C’è poi il colloquio intercettato il 15 luglio 2015 in cui Giuseppe Versace e Giuseppe Napoli vengono descritti dall’accusa come i promotori di un traffico di droga tra la Calabria e il Veronese. Questa circostanza si desume dal passaggio «ora se si fanno quei due etti, sono settemila euro». I due poi citano Carmine Gerace, con cui si deve parlare dato che «lui non mette soldi, non mette un c...» . Ma proprio da lui, però, devono passare tutti i traffici di cocaina. E Gerace vive in Calabria. •

Giampaolo Chavan

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