<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Casa di riposo, ospiti isolati da marzo

La casa di riposo Toffoli a Valeggio
La casa di riposo Toffoli a Valeggio
La casa di riposo Toffoli a Valeggio
La casa di riposo Toffoli a Valeggio

Ritrovare un contatto più stretto con i propri congiunti, interrotto lo scorso 3 marzo, quando anche la Residenza sanitaria assistita (Rsa) Gaetano Toffoli di Valeggio ha chiuso i battenti per le visite. Questa è la richiesta che sale dai familiari, anche ricollegandosi a un sentire sempre più diffuso a livello nazionale che riguarda non solo le strutture per anziani, ma anche quelle per diversamente abili. Questo nonostante le Rsa siano state i luoghi più colpiti nella prima ondata della pandemia e gli anziani siano la categoria più a rischio. In uno studio dell’Istituto superiore di sanità (Iss) di giugno erano infatti state certificate ben 3.772 morti nelle Rsa nelle 1.356 strutture che avevano risposto a un questionario (il 41,3 per cento di quelle contattate) e, in 278 strutture (il 21,1 per cento), c’erano stati casi di contagio tra il personale. «Capiamo la situazione generale e tutte le difficoltà organizzative connesse alla pandemia», rileva un familiare che sta provando a fare rete tra chi ha persone nella struttura e non solo, «ma la chiusura rende ancora più devastante l’impatto del Covid, anche se per fortuna a Valeggio non ci sono stati i contagi avvenuti in altre Rsa. Temiamo che l’impossibilità di vedere gli affetti più cari faccia sentire abbandonati gli anziani ospiti delle Rsa, soprattutto chi ha difficoltà cognitive, finendo per colpire più del virus». Il familiare ha infatti potuto vedere il proprio congiunto con una videochiamata solo dopo mesi e con una cadenza quindicinale. Successivamente, durante la sanificazione di letti e comodini, l’ospite, che è allettato, viene messo su una barella e portato vicino a una vetrata che guarda il cortile della residenza. «I familiari stanno fuori», commenta il testimone, «e ci si può solo guardare perché la vetrata è isolante anche acusticamente e quindi non arrivano le parole. L’effetto è straziante per noi e per loro e spinge noi famigliari a chiedere dei correttivi per uscire da questa situazione. Certo un aiuto potrà venire dal ventilato allestimento di parlatori con plexiglass e ancor più se si decidesse di far fare test rapidi per permettere in caso di negatività l’accesso alle residenze. Su questo ci stiamo muovendo con altri famigliari». Intanto, questa condizione di quasi reclusione ha spinto numerosi geriatri, tra i quali un luminare come Marco Trabucchi, direttore scientifico del Gruppo di ricerca geriatrica di Brescia e presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria, a interrogarsi su quale danno a livello fisico e psicologico possa creare una condizione di solitudine, accompagnata da paure e angosce di vario tipo. Trabucchi, che pure ha sempre difeso l’importanza del ruolo delle Rsa nell’assistenza agli anziani, auspica che si arrivi a organizzare «un’apertura controllata e attenta dei contatti di un anziano ospite con i suoi cari» (dalla rivista online I luoghi della cura). Per il futuro Trabucchi ritiene necessario che le Rsa investano sulla formazione degli operatori, aumentino le loro entrate di parte pubblica per fornire standard più elevati e diventino centri polifunzionali sempre più radicati nel territorio e connessi ai medici di famiglia. Anche Stefano Ferri, 47enne direttore della Rsa valeggiana, con una laurea in giurisprudenza, è ben conscio della complessità e delle incertezze del momento. «La situazione crea turbamenti e stanchezza nei familiari», dichiara il direttore, «spesso attanagliati dal senso di colpa, anche se c’è pure chi viene in visita ogni sei mesi. Sembra che i parenti siano reclusi, ma dobbiamo tener presenti le fragilità degli ospiti e la responsabilità notevole per noi operatori perché la loro vita potrebbe essere messa in pericolo da aperture non controllate. Via via abbiamo reso possibile vari tipi di contatto e ora i famigliari possono vederli dalle vetrate, due volte alla settimana per una ventina di minuti». Ferri rivendica, giustificandolo con tanto impegno e fortuna, il fatto di aver avuto un solo anziano affetto dal Covid e spera che le istituzioni facciano chiarezza: «Serviranno tamponi, anche più frequenti di una volta al mese. Se poi arrivassero decisioni sulla presenza di un direttore sanitario (come in Lombardia, ndr) e su parziali riaperture vedremo di organizzarci. Certo ci penalizza il fatto che su 60 posti ne dobbiamo tenere 7-8 vuoti come area Covid per la quarantena di chi entra». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandro Foroni

Suggerimenti