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Addio all’alpino Colesbi Fu internato dai nazisti

Giovanni Colesbi
Giovanni Colesbi
Giovanni Colesbi
Giovanni Colesbi

È scomparso uno degli ultimi testimoni dei campi di prigionia tedeschi. Questa mattina alle 10.30 nella chiesa di Buttapietra, ci saranno i funerali di Giovanni Colesbi, che aveva passato quasi due anni della sua giovinezza nelle mani dei nazisti, vivendo gravi sofferenze. Il reduce è morto venerdì scorso a 98 anni d’età, dopo aver tramandato alle giovani generazioni gli orrori della guerra. Un’azione che ha portato avanti per onorare chi ha combattuto ed è morto indossando l’uniforme militare, ma anche per far capire quali effetti terribili comporti il ricorso alle armi. Preso dai tedeschi poco dopo il suo arruolamento, Colesbi fu obbligato a vivere una delle pagine più drammatiche dell’ultima fase della Seconda guerra mondiale, la ritirata dall’Est Europa delle armate naziste. Una volta tornato a Buttapietra, dove ritrovò la sua famiglia e lì iniziò a lavorare, prima come agricoltore e poi come muratore, ha partecipato alle attività di volontariato degli alpini ed a portare avanti l’associazione Combattenti e reduci. Il sodalizio è ora presieduto da uno dei suoi due figli, Silvano. «Non si è mai tirato indietro», dicono Silvano ed il fratello Loris. Raccontano che spesso il papà si ritrovava con gli altri reduci del territorio e che negli ultimi quindici anni ha anche risposto sempre di sì alle richieste di testimonianza che gli arrivavano dalle scuole. La sua testimonianza era preziosa per far capire ai giovanissimi il valore della pace e l’orrore della guerra. L’ultima volta che ha parlato ai ragazzi è stata poche settimane fa. Colesbi ha raccontato in videoconferenza agli studenti delle scuole medie dell’Istituto comprensivo Fratelli Corrà di Isola della Scala la sua esperienza in occasione dell’appuntamento promosso dalla scuola isolana nell’ambito delle iniziative per la Giornata della memoria che hanno coinvolto gli alunni dei plessi di Isola della Scala e Salizzole. Partito come giovane soldato quando aveva soltanto 18 anni nel 4° Reggimento alpini divisione tridentina di Bolzano, il 9 settembre 1943 fu fatto prigioniero dai tedeschi e inviato in Germania al campo di concentramento di Fustemberg Oder. Successivamente fu trasferito alla fabbrica di cannoni e armi di Guben. Dopo molte sofferenze, e grazie alla sensibilità di alcune persone, riuscì a salvarsi e a ritornare in patria nel luglio del 1945. Pesava 42 chili. Nella sua testimonianza in presa diretta agli studenti aveva parlato di fame, fatica e umiliazioni. «Non ero più Colesbi ma il numero 300900 scritto su una piastrina che portavo al collo», aveva rivelato agli studenti. Con voce ferma, a tratti spezzata dall’emozione dei ricordi ancora vividi, Colesbi aveva consegnato con estrema lucidità la sua storia ai giovani assegnando loro il compito di custodirne la memoria. Ancora masticava parole di tedesco e mentre si inerpicava sulla strada dolorosa dei ricordi si emozionava. Una giovane ragazza tedesca ogni giorno coraggiosamente gli portava da mangiare. Il boato delle bombe, le fucilazioni, la fame, i 400 km percorsi a piedi in 24 giorni dopo la liberazione che lo hanno stremato. Un’esperienza che lo aveva segnato per tutta la vita e della quale non ha mai parlato neppure con i familiari fino agli anni 2000 per la paura di non essere creduto. Poi però aveva deciso di parlare: «Vorrei che questo racconto restasse perché i giovani sono il futuro dell’Italia e per conservarne la memoria», aveva concluso, passando il testimone alle future generazioni.•.

Luca Fiorin Lidia Morellato

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