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Suicida per bullismo: lettera sulla tomba

Roberta Mazzi e Stefano Cinetto sulla tomba del figlio Livio con la lettera che hanno trovato
Roberta Mazzi e Stefano Cinetto sulla tomba del figlio Livio con la lettera che hanno trovato
Roberta Mazzi e Stefano Cinetto sulla tomba del figlio Livio con la lettera che hanno trovato
Roberta Mazzi e Stefano Cinetto sulla tomba del figlio Livio con la lettera che hanno trovato

Quando ha visto la busta sulla tomba di suo figlio ha avuto un tuffo al cuore. Non erano solo lei, il marito e la figlia a parlare con Livio. Qualcun altro l’aveva fatto. «L’ho presa con le mani che tremavano», racconta Roberta Mazzi, mamma di un ragazzo morto suicida nel giardino di casa a 16 anni perché vittima dei bulli. «C’era scritto “Per Livio, da un amico. Ti vogliamo bene e ci manchi”. La scrittura tra l’altro assomigliava moltissimo a quella di mio figlio e questo mi ha scossa ancora di più». La lettera era rimasta tre giorni sotto la pioggia nel cimitero di San Pietro in Cariano. «A casa l’abbiamo messa ad asciugare sul tavolo. Non volevamo rovinarla, rischiando di non riuscire più a leggerla», continua Roberta. Mille ipotesi si sono accavallate per ore nei loro pensieri mentre le pagine si asciugavano. Cosa potevano contenere? Il nome dei bulli che avevano perseguitato Livio? Le scuse di uno di loro, pentito per ciò che aveva fatto? Le rivelazioni di chi aveva visto qualcosa che ai familiari non era mai stato raccontato? Dopo una notte insonne, all’alba lei, suo marito Stefano Cinetto ed Emma, la figlia, sono andati insieme in sala e l’hanno letta. «Erano quattro pagine, divise in due parti», spiega Roberta Mazzi. «La prima in corsivo diretta a Livio, in cui l’Anonimo, così si è firmato l’autore spiegando di aver stretto amicizia con nostro figlio nel 2011, gli confessa di avergli voluto scrivere da tanto tempo, dopo la sua morte, senza trovare il coraggio di farlo. Gli racconta ciò che ha fatto e di non averlo mai dimenticato. Poi la seconda parte, scritta in stampatello», continua. «Prima un appello ai bulli, perché si fermino e poi un appello ai genitori e agli insegnanti perché non sottovalutino certi episodi e non lascino mai soli i ragazzi». «Perché il vero nemico di una vittima di bullismo non è tanto l’aguzzino, ma la solitudine», scrive l’Anonimo. Che aggiunge: «Dobbiamo sbrigarci a fare qualcosa di concreto e veramente utile o ci saranno ancora altri 10, 100, 1000 Livio che soffriranno e forse moriranno». Riprende Roberta Mazzi: «Per me questa lettera è stata un regalo enorme. Significa che ciò che sto facendo, i messaggi che lancio durante gli incontri cui partecipo sono arrivati. Le parole che ho letto sono un segnale di presa di coscienza. Dalla lettera esce una voce forte che urla “Basta”. Non devono più esserci altri Livio. Stop alle umiliazioni, alle prese in giro, al bullismo pesante, alle botte. È ora di ricominciare da capo. Di ricominciare a rispettarsi, di ricominciare a pensare prima di agire, prendendo in giro qualcuno solo se la situazione è allegra, non se ci sono occhi tristi o disperati». Nonostante quello che è capitato a suo figlio, Roberta Mazzi crede molto nei giovani: «È il mio sogno avere un giorno al mio fianco dei ragazzi che dicano ciò che ha scritto questa persona», prosegue. «Non conosco il ragazzo che ha lasciato la busta per Livio, perché non faceva parte dei suoi amici storici, ma il suo appello è importante. Perché una cosa è che questi discorsi li faccia io, come mamma disperata che ha bisogno di esprimere il suo dolore, e un’altra è che li facciano loro, i ragazzi di vent’anni che possono lanciare un messaggio a quelli più giovani avvertendoli che certe azioni causano conseguenze tragiche. Se portassero avanti loro la battaglia contro il bullismo potrebbero avere più presa sui giovani. È a questo che bisogna arrivare». •

Chiara Tajoli

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