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L'intervista

«Nel giro di 18 mesi ho perso due amici per colpa dei bulli»

L'intervista
Nicola RinaldoLivio Cinetto a 16 anni: 17 non li ha mai compiuti
Nicola RinaldoLivio Cinetto a 16 anni: 17 non li ha mai compiuti
L'intervista di Chiara Tajoli

«Sono rimasto in silenzio per anni, ma adesso basta. Io e Livio abbiamo condiviso l’infanzia e l’adolescenza. Anni difficili che però lui ha arricchito di tanti momenti che porto nel cuore. Eppure c’era sempre un’ombra intorno a noi. L’ombra di coloro che “ci urlavano addosso” quando eravamo per strada».

 

GLI INSULTI. «Quelli che ogni giorno insultavano Livio per il suo aspetto se ne stavano in lacrime al funerale. La chiesa era gremita di ragazzi quel giorno, nonostante il fatto che nella vita Livio fosse emarginato se non deriso». Sono passati sei anni da quando Nicola Rinaldo, 23 anni, chiacchierava a San Pietro in Cariano, nel parco vicino a casa, con il suo amico Livio Cinetto, suicida a 16 anni perché vittima dei bulli. Ora Nicola lavora per un’importante industria, è rispettato, sicuro e dimostra più dei suoi anni. Dopo aver visto l’appello dei genitori di Livio apparso sul nostro giornale con cui chiedevano agli amici del figlio di farsi avanti per aggiungere i tasselli mancanti alle vicende che l’hanno spinto a legarsi una corda attorno al collo, ha deciso di rompere il silenzio. Spinto anche da un altro fatto. «Dopo la seconda persona che ho sentito dire che era un’esagerazione fare “campagne” di questo tipo sul giornale, ho capito che era arrivato il momento di parlare». Così ho scritto una lettera aperta che ha pubblicato su Facebook, confessando che anche lui era entrato nel mirino dei bulli.

 

IPOCRISIA. «Ho conosciuto Livio a 7 anni e lo porto nel cuore», afferma, «perché ho dovuto subire, anche se in misura minore, l’oppressione di persone che oltre all’assenza di rispetto hanno dimostrato anche una notevole ipocrisia. In questi anni ho imparato ad abituarmi al fatto che uno dei miei amici più cari mi sia stato strappato in questo modo, ma non potrò mai perdonare chi avrebbe potuto fare qualcosa e non l’ha fatto».

 

«NON PERDONERÒ MAI la persona che il giorno del funerale andò sull’altare e disse che Livio andava male in matematica, né quelli che sapevano e non mossero un dito», aggiunge. «Livio è stato vittima della malignità e del silenzio. Le parole feriscono più in profondità dei coltelli. Se lo ricordino le persone che per anni hanno tormentato una persona buona».

 

RICORDI DOLOROSI. Nicola ha deciso di rendere pubbliche vicende che avrebbe voluto cancellare per sempre anche per un altro motivo. «Perché qualcuno potrebbe vedere un’ingiustizia a scuola o sul lavoro e forse queste mie parole lo faranno pensare», spiega. «Ricordo che anni fa qualcuno mi disse: “Temi gli indifferenti perché attraverso il loro silenzio accadono omicidi e tradimenti. La vita è la cosa più bella che esista e nessuno può permettersi di mortificarla e Livio», continua, «veniva mortificato in continuazione. I suoi compagni lo invitavano al bar a fare colazione e poi non lo facevano sedere al tavolo con loro. Lo prendevano i giro perché era sovrappeso e soffriva di iperidrosi, quindi era sempre sudato. Ho saputo che anche un insegnante un giorno in classe gli disse davanti a tutti “Pulisciti” perché era sudato, avvallando la presa in giro dei compagni. Ma non veniva umiliato solo a scuola, ma anche per strada. Eravamo sempre bersagliati da un gruppo di ragazzi quando uscivamo, anche perché avevamo interessi diversi come la storia, la letteratura, le scienze. Alla festa di fine anno in Valpolicella un tipo lo riempì di pugni. Erano cose che purtroppo gli capitavano spesso e anche a me. Incassare fa male. Fa male quando insultano e sfottono te, i tuoi familiari e non puoi reagire perché loro sono troppi».

 

SECONDA MORTE. Nicola si porta addosso anche un altro macigno, perché ha visto morire un secondo amico: un anno e mezzo dopo Livio si è suicidato Joseph Happiah, 17 anni. Anche lui frequentava l’istituto Calabrese-Levi di San Floriano, come Livio. «Era ghanese, a scuola andava benissimo ed era molto più italiano di tanti altri italiani “veri”», ribadisce. «Lo conoscevo perché era cugino di un mio amico e facevamo la strada insieme per tornare a casa da scuola. Joseph era vessato perché era di colore e per una millantata omosessualità». Poi torna a Livio: «Quando è morto mi sentivo come se fossi di ghiaccio. Poi inizi a pensare, tutto si lega e trai le conclusioni».

 

ASSENZE. Poi aggiunge: «Mi ha colpito l’assenza di una reazione della società civile dopo le due morti e il fatto che all’istituto che frequentavano non ci siamo stati interventi forti, mentre nella mia scuola, il Marco Polo, per un fatto di bullismo di portata molto più modesta si sono subito attivati preside e insegnanti. Il provveditorato agli studi non dovrebbe vigilare? Se non si tutela il bene vita cosa si tutela?». •

Chiara Tajoli

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