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LA storia

«Bentornato Dr. Domenico»: ritorno a casa dopo tre mesi di ricovero per il covid

Il dottor Domenico Armani (al centro) accolto davanti a casa nel giorno del rientro dall’ospedale
Il dottor Domenico Armani (al centro) accolto davanti a casa nel giorno del rientro dall’ospedale
Il dottor Domenico Armani (al centro) accolto davanti a casa nel giorno del rientro dall’ospedale
Il dottor Domenico Armani (al centro) accolto davanti a casa nel giorno del rientro dall’ospedale

Uno striscione - «Bentornato Dr. Domenico» - e palloncini colorati hanno accolto il ritorno a casa in piazza Butturini del dottor Domenico Armani, medico di famiglia e odontoiatra, che ha attraversato il deserto del Covid. Una piccola festa di benvenuto che ha raccolto la famiglia e gli amici.

Quasi tre mesi di degenza all’ospedale di Negrar per il dottor Domenico, che è stato ricoverato il 9 gennaio 2021, è stato intubato l’11 di gennaio ed è rimasto in quelle condizioni per 28 giorni, trascorrendo ben 41 giorni in terapia intensiva, poi trasferito nel reparto di medicina interna e finalmente, tre settimane fa, in riabilitazione. Dalla riabilitazione, poi, è stato spostato a Casa Nogaré fino alle dimissioni, avvenute venerdì.

Armani ha perso circa 20 chili e sta riacquistando gradualmente tutte le funzionalità. Questi dati scarni e clinici li fornisce, non senza emozione, il figlio minore Giacomo, che è medico come il papà e i suoi fratelli Camilla e Leonardo, tutti al lavoro nella clinica odontoiatrica di piazza Butturini fondata dal dottor Domenico 35 anni fa. In paese alla notizia che il dottor Armani, oggi 69enne, era stato ricoverato d’urgenza per Covid c’era stata un’ondata di emozione profonda, anche in considerazione della condizioni in cui era avvenuto il contagio. È sempre Giacomo che racconta: «Papà ha contratto il Covid il 29 di dicembre 2020, l’ultimo giorno prima di andare in pensione. Fino a quel momento ha continuato a fare tamponi ai suoi pazienti, che hanno avvertito il suo ammalarsi come uno strappo veramente profondo e si sono attivati con gruppi di preghiera e di sostegno morale alla famiglia che ha fatto corpo unico intorno al papà». Una gara di competenza e affetto. Conclude Giacomo: «Dal 29 di dicembre, lo abbiamo assistito 24 ore al giorno. Poi la decisione maturata tra il 7 di gennaio e il 9, quando di notte la saturazione è scesa a 68 e abbiamo deciso di chiamare l’ambulanza e di portarlo a Negrar». Una Pasqua di resurrezione, come si coglie nelle parole dello stesso dottor Domenico: «Da questa esperienza esco sconvolto emotivamente e commosso. La cosa principale è la commozione di ritrovare gli affetti insostituibili e la consapevolezza di non avere avuto la percezione del dramma che stavo vivendo. E questo l’ho considerato un dono del cielo. Mi sentivo proprio la gradualità del risveglio e dentro di me la pace dell’abbandono nella fiducia della provvidenza e degli affetti». Una famiglia sempre presente. Continua il dottor Domenico: «La Paola, mia moglie, mi chiamava e mi teneva al telefono tre quarti d’ora, tre volte al giorno e mi dava una forza straordinaria. Ho voluto conoscere il dramma del coma dopo che i medici, il primario della rianimazione Massimo Zamperini e il responsabile dottor Ivan Daroui, mi hanno spiegato per filo e per segno il decorso e sinceramente mi sono reso consapevole del miracolo della guarigione. A quel punto mi aspettavo semplicemente lo step successivo del trasferimento in medicina generale e poi dal dottor Zeno Cordioli in riabilitazione, dove hanno fatto il miracolo conclusivo».

Una vera e propria Pasqua. Conclude il medico, non senza commuoversi: «In 20 giorni dal non essere in grado di alzare un braccio a poter camminare per i corridoi con saturazione ottimale e il solo ausilio di un deambulatore. A questo punto l’arrivo della Pasqua ha concluso il ciclo Natale - Pasqua del ricovero e delle dimissioni: proprio una Pasqua di resurrezione definitiva che mi ha portato finalmente a casa, dove ho avuto un’accoglienza festosa e trionfale e a sorpresa». «La via era affollata dalla gente che ha saputo sottotraccia che stavo tornando a casa, finalmente. I miei figli insieme coi vicini hanno addobbato la via con bandierine, palloncini e scritte di benvenuto e poi foto di gruppo e abbracci. Un grazie alla mia famiglia, a tutto il paese, alle persone che da sole o in gruppo hanno pregato per la mia guarigione». «Non voglio dimenticare il sindaco Davide Quarella che ha fatto arrivare alla mia famiglia la vicinanza sua e del paese, il vicesindaco di Sona, Elena Catalano e tutti i conoscenti di Palazzolo, mio paese di origine», conclude il dottor Armani. •

Lino Cattabianchi

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