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Pescantina

Ca’ Filissine, inquinanti in aumento. Allarme dell'Arpav sulle falde

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Panoramica della discarica di Ca’ Filissine a PescantinaLa sede scaligera dell’Arpav
Panoramica della discarica di Ca’ Filissine a PescantinaLa sede scaligera dell’Arpav
Discarica Cà Filissine

A Pescantina torna l’allarme discarica. Un allarme inquinamento che interessa l’acqua di falda più superficiale e rischia di avere effetti su un’area rilevante. Tanto che Arpav, in una relazione che è stata pubblicata dal Comune, parla di «grave compromissione delle acque di falda nell’area ad Est della discarica di Ca’ Filissine». Si tratta di una situazione definita dall’agenzia regionale «in peggioramento» e che pare collegabile all’improvvisa sparizione, avvenuta ancora in luglio, del lago di percolato che si trovava nel catino di discarica. Alcune stime parlavano di oltre centomila metri cubi di un liquido inquinante che potrebbe essere finito sottoterra, intaccando le quote più superficiali della falda anche con Pfas.

 

La discarica per rifiuti urbani di Ca’ Filissine è una bomba a orologeria. Va ricordato che è sotto sequestro dal 2006 proprio per la sua pericolosità ambientale e che dovrebbe essere oggetto di una bonifica per la quale il Governo ha stanziato 65 milioni, di cui quasi 20 sono già arrivati. Al percolato che fuoriesce dalla discarica era dovuta la presenza di Pfas nella rete idrica comunale scoperta a dicembre 2019; sempre a questa situazione si devono le consistenti quantità di sostanze perfluoro-alchiliche e di altri inquinanti trovate negli ultimi mesi in alcuni dei pozzetti piezometrici realizzati attorno alla discarica per verificarne la tenuta. Stiamo parlando, nei casi più elevati, di 7.000 nanogrammi per litro. Tra le tipologie di Pfas, il più presente è il Pfoa, rilevato in misura fino a sei volte superiore rispetto ai parametri previsti dalla normativa sulle acque sotterranee. Secondo quanto riferisce Arpav, i valori limite sono stati superati anche per altri Pfas. I quali, tutti, sono sostanze chimiche che se assunte dall’uomo possono causare gravi patologie e che vengono utilizzate in un’ampia serie di lavorazioni, soprattutto per la loro capacità impermeabilizzante.

Oltre a Pfas, nei pozzetti spia sono stati scoperti anche manganese, ferro, nichel, arsenico, ammoniaca, nitrati, sodio e cloruri. Proprio la presenza di cloruri, oltre che di Pfas, è aumentata negli ultimi mesi.

 

I pozzi spia sono abbastanza superficiali e al momento non ci sono conferme su un eventuale arrivo degli inquinanti nelle fasce più profonde della falda, dalle quali pesca l’acquedotto e che dovrebbero essere protette da uno strato naturale d’argilla. La situazione attuale è quindi diversa rispetto a quella che si era verificata nel dicembre 2019. Allora erano state registrate quantità rilevanti di Pfas in un pozzo di Balconi, che poi Acque Veronesi ha chiuso spiegando che comunque garantiva solo l’1 per cento dell’acqua pubblica, così come, anche se in misura minore, in altri due pozzi e nella rete di distribuzione. La struttura di prelevamento poi dismessa, va ricordato, si trova a circa 650 metri dalla discarica in direzione Est. I pozzi spia nei quali sono stati ora ritrovati gli inquinanti registrano situazioni che arrivano fino a 100 metri dall’impianto e sono anch’essi collocati ad Est. L’inquinamento si sta però muovendo in direzione Nord-Sud. A Sud ci sono due dei tre pozzi che alimentano l’acquedotto.

 

Anche se non esprime un rapporto di causa effetto, Arpav sottolinea che il brusco aumento di Pfas e cloruri nei pozzi spia è avvenuto in concomitanza con il repentino abbassamento del livello del percolato di luglio. «Questi risultati confermano la necessità di predisporre e mettere in atto azioni di messa in sicurezza di emergenza del sito, per prevenire la diffusione dell’inquinamento nelle aree idrogeologicamente a valle della discarica», conclude Arpav. Va dunque sventato quello che potrebbe diventare un disastro ambientale. •

Luca Fiorin

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