<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Vivono con i lupi, premiate dal Cai

L’allevamento di capre (e pecore) di «Quelle del baito»: l’attività è stata avviata nel 2009, quando ancora i lupi non erano presenti in LessiniaImmagine di un predatore dal documentario «L’aritmetica del lupo»
L’allevamento di capre (e pecore) di «Quelle del baito»: l’attività è stata avviata nel 2009, quando ancora i lupi non erano presenti in LessiniaImmagine di un predatore dal documentario «L’aritmetica del lupo»
L’allevamento di capre (e pecore) di «Quelle del baito»: l’attività è stata avviata nel 2009, quando ancora i lupi non erano presenti in LessiniaImmagine di un predatore dal documentario «L’aritmetica del lupo»
L’allevamento di capre (e pecore) di «Quelle del baito»: l’attività è stata avviata nel 2009, quando ancora i lupi non erano presenti in LessiniaImmagine di un predatore dal documentario «L’aritmetica del lupo»

[FIRMA]Vittorio ZambaldoVivere e lavorare in montagna con ovini da allevamento e adottare tutti i sistemi possibili per evitare le predazioni da lupo, ha meritato a Barbara Crea, titolare di «Quelle del baito» di contrada Manarini di Erbezzo, il premio «Sulla via della coesistenza», assegnato dal Club alpino italiano, attraverso il suo gruppo di lavoro sui Grandi Carnivori, e rivolto agli allevatori che operano sul territorio montano italiano e che cercano di mettere in atto buone pratiche di allevamento per mitigare il conflitto con il lupo e cercare un percorso di coesistenza.È la filosofia che «Quelle del baito» adottano fin dall’inizio, quando nel 2009 acquistarono le prime pecore e il pastore dell’Appennino da cui si rifornirono le consigliò anche un paio di cani. «A noi non servono. Non abbiamo i lupi», dissero loro. Invece arrivarono tre anni dopo e nel 2014 ebbero le prime vittime, quattro pecore gravide. Arrivarono allora anche due cani a difendere quel piccolo gregge che due anni dopo sarebbe salito in alpeggio a Malga Derochetto. «È stato allora che abbiamo deciso di non rischiare la vita delle nostre cagnolone ancora cucciole affiancandole a un maschio adulto di tre anni, di indole buona e già ottimamente predisposto per il lavoro di guardiania: è stato la nostra salvezza», riconosce Barbara.Ci sono stati anche momenti difficili, «come nel 2017 quando abbiamo subito una predazione: era ottobre a fine alpeggio. Una pecora aveva partorito al mattino, ma quel giorno ha fatto tempesta, temporali tutto il dì e vento forte. Alla sera lei e i suoi agnelli non sono tornati, ma non avevamo voglia di andarli a cercare sotto acqua e vento. Il giorno dopo abbiamo trovato i suoi resti e dei due agnellini neanche una traccia. Negligenza nostra», riconosce Barbara, «il lupo aspettava solo questo e ne ha approfittato». Oggi hanno un recinto fisso per la notte alto tre metri con spiovente in filo spinato, le due femmine di pastore abruzzese dentro con pecore e capre e i due maschi fuori. I lupi sono rimasti in zona ma non hanno più attaccato, neanche nelle malghe vicine che lasciano i bovini incustoditi e i cani si sono presi a cuore anche quelli.Lavorano lei e Fabrizio e hanno assunto un dipendente. Sono partiti da Bergamo per un progetto di fattoria sociale da realizzare nei pressi di Ala, poi naufragato perché il proprietario dello stabile non ha più concesso l’affitto: «Saliti alla Sega siamo sbucati in Lessinia ed è stato amore a prima vista e qui ci siamo stabiliti, imparando i rudimenti della caseificazione a Malga Faggioli 1140 e i segreti del Monte Veronese Dop a Malga Lessinia da Angelo Campedelli, trasferendo queste competenze al nostro latte di capra», racconta Barbara, impegnata attivamente anche nella conservazione dell’ambiente e delle sue caratteristiche, battendosi contro il progetto di riduzione dei confini del Parco naturale regionale della Lessinia.«Il premio del Cai ci ha fatto piacere. La necessità di convivere coi lupi deriva dalla volontà di ricercare le vere tradizioni, di rispettare e custodire un territorio delicato, quello rurale e montano, nel suo complesso, tenendo in considerazione tutte le sue peculiarità, animali selvatici compresi, alla ricerca di un equilibrio fra uomo e natura indispensabile per la sopravvivenza loro e di questa nostra "Terra, bella Terra"».I pilastri su cui «Quelle del baito» fondano la propria ragione di vita sono quelli di un allevamento che va oltre il biologico e chiamano «ecocompatibile, attento, sostenibile… “animaleale”: leale sia nei riguardi degli animali (compresi noi stessi), sia della Terra su cui viviamo, con tutte i suoi svariati e strabilianti ecosistemi e biodiversità». Quindi carico di bestiame commisurato alla superficie posseduta o concessa in affitto; animali al pascolo il più possibile; scelta di razze autoctone e rustiche, meglio se incrociate; svezzamento naturale fatto dalle rispettive madri e trasformazione del latte in un piccolo caseificio aziendale con vendita in malga, tutte le domeniche da giugno a settembre, nei gruppi di acquisto solidale (Gas) e nei mercati contadini autogestiti; presenza costante in alpeggio per custodire gli animali ma anche a far manutenzione dei pascoli.Non chiamatela azienda: «è un organismo agricolo», precisa Barbara, «è più che un lavoro una missione. Sappiamo che non si diventa ricchi, ma si fa pace con il mondo e la natura». [END]

Suggerimenti