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Valentina, foto «rubate» alla natura

Una cesena colta mentre si ciba di frutti di sorboMamma camoscio accompagna il suo cucciolo alla scoperta del mondoLa vacca Charolaise lecca amorevolmente il suo vitellino
Una cesena colta mentre si ciba di frutti di sorboMamma camoscio accompagna il suo cucciolo alla scoperta del mondoLa vacca Charolaise lecca amorevolmente il suo vitellino
Una cesena colta mentre si ciba di frutti di sorboMamma camoscio accompagna il suo cucciolo alla scoperta del mondoLa vacca Charolaise lecca amorevolmente il suo vitellino
Una cesena colta mentre si ciba di frutti di sorboMamma camoscio accompagna il suo cucciolo alla scoperta del mondoLa vacca Charolaise lecca amorevolmente il suo vitellino

Il posto di Valentina Corradi, 28 anni, di Camposilvano di Velo, è quello che i tedeschi chiamo «Heimat», la patria intesa come casa, ma anche come ambiente, culla di ricordi, di tradizioni, di relazioni, di speranze e di futuro. El me posto condensa in 80 pagine di un libro autoprodotto e auto distribuito (vcorradi@hotmail.it) il vissuto di una vita giovane che fin dall’infanzia si è aperta al mondo che oggi rappresentano i soggetti di queste pagine: dieci anni di foto, disegni al tratto e poesie. HA FATTO TUTTO da sola, con lo spunto fornito dal papà che fin da piccola l’accompagnava «a osservare i caprioli all’alba, a imparare a memorizzare il canto delle cesene d’autunno o a riconoscere le foglie del sorbo». Fu in occasione di una di queste uscite che volle immortalare, con la sua piccola macchina fotografica compatta, l’osservazione di una capriola con due cuccioli appena nati inquadrati dall’obiettivo del cannocchiale. «Le moltissime foto mosse e fuori fuoco sono state per me l’inizio di una passione unita a quella per la mia montagna». Alzatacce prima dell’alba per lasciarsi stupire ogni volta dall’erba increspata dal vento che sferza le dorsali lessiniche, dal volo dell’aquila indagatrice, dalle capriole di teneri camosci che danzano sulle punte su rocce a strapiombo. «Per me la fotografia è cercare di mostrare agli altri la Natura come la vedo: maestosa, bella, fragile; di catturare dettagli altrimenti persi e lo stesso posto cambiare d’abito nelle stagioni. Continuerò a farlo e sempre in Lessinia», promette, luogo dove è nata e dove ha la fortuna di continuare a vivere, pur lavorando in ufficio da commercialista. «Il libro è stato una scommessa. La passione per la fotografia ha contato molto, ma mi sono resa conto che da sola la foto non dice tutto. Se fotografo i faggi all’inizio della primavera non riesco a trasmettere la soddisfazione di cogliere il risveglio dei rami, con alcuni ancora con le loro gemme infagottate per il freddo e altri già aperti al sole con le loro tenere foglioline tese alla cattura della luce», spiega. Ma lo spiega meglio, mettendo a confronto, su pagine affiancate, la foto dei faggi al risveglio e la sua lirica «Ci prima e ci dopo», per dire «qualche fò el proa a sbaciàr n’oceto/ el se stira on po' i brassi, come ti, quan te levi dal leto» (Qualche faggio prova ad aprire un occhietto, si stira un po’ le braccia, come fai tu, quando ti alzi dal letto). «Avevo cominciato a tradurre in italiano, ma poi mi sono resa conto che non riuscivo a dire tutto e bene come avrei voluto senza usare il dialetto, di cui mio padre è fonte inesauribile di espressioni e termini, oggi anche desueti, che ho voluto usare per conservarli», aggiunge. Se la conoscenza della lingua è cresciuta in casa a pane e latte, quella della tecnica fotografica è stata invece una ricerca autonoma e lunga, da autodidatta, senza mai fare un corso, ma solo leggendo e osservando quello che altri pubblicavano e raccontavano. PAZIENZA, costanza, sensibilità e indubbie capacità di interrogare il mondo e rispondere alle domande che il mondo della natura, alberi e animali le fanno, sono gli ingredienti che hanno contribuito a far lievitare il risultato perfetto. E come per i faggi, c’è una dedica speciale a vento e neve, al paesaggio imbiancato, alla fauna della Lessinia, alle stagioni, sempre con tanta delicatezza come in Le ale che spèta che racconta i momenti d’attesa delle farfalle di prato con le ali bagnate dalla rugiada della notte e pronte a involarsi quando un raggio di sole le avrà asciugate. DI TANTE FOTO a una è particolarmente affezionata (Pista di lepre), una traccia su un manto di neve dorato dalle prime luci del sole, «perché è un’emozione sapere che c’è qualcuno con te, anche se non lo vedi», ammette. Le più tenere sono quelle colte con la sensibilità femminile attenta alla relazione madre-figlio come l’ultima imbeccata al picchio nero nella cavità del faggio prima che abbandoni il nido o la leccata della capriola al suo piccolo mimetizzato nell’erba alta, o della vacca Charolaise al suo vitellino e gli sguardi d’intesa di mamma camoscio al suo piccolo o il muso sorpreso di una vitellina Limousine con incollati i semi volanti di tarassaco: «e l’è nà a piantar el naso in te on pissacàn!». Non è un solo libro di belle fotografie, ma anche un breviario di preghiere semplici alle cose che contano davvero. •

Vittorio Zambaldo

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