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Sposi da 65 anni, muoiono assieme

Ilde Trevisani eSilverio Pomari  in una foto recente
Ilde Trevisani eSilverio Pomari in una foto recente
Ilde Trevisani eSilverio Pomari  in una foto recente
Ilde Trevisani eSilverio Pomari in una foto recente

È stato un amore più forte anche del virus, che ha tenuto separati gli ultimi giorni delle loro vite, quello di Ilde Trevisani e Silverio Pomari, che il prossimo 2 giugno avrebbero festeggiato i 65 anni di matrimonio. Se ne è andata prima Ilde, 86 anni, seguita cinque giorni dopo da Silverio, di un anno più grande. Entrambi con problemi di salute pregressi e in sedia a rotelle, erano però seguiti a casa loro amorevolmente dai figli Flavia, Rossella, Flavio, Ines, Simone e dall’affetto dei dieci nipoti a cui da sette mesi si era aggiunta la gioia del primo pronipote, Noah. «La storia ha dell’incredibile, anche perché papà era stato il primo ad essere ricoverato all’ospedale di Peschiera. Dopo i primi momenti di difficoltà, i medici ci avevano dato speranza perché rispondeva bene alla cure e si stava riprendendo», raccontano i figli. Poi arrivò la tegola del ricovero della mamma a San Bonifacio, il peggioramento delle condizioni di salute e la morte senza che Silverio sapesse nulla, isolato nel suo reparto all’altro capo della provincia. Ma evidentemente c’è un linguaggio del cuore che non ha bisogno né di parole né di fili per essere ascoltato e dal giorno della morte della sua amata Ilde, anche le condizioni di Silverio sono peggiorate, contrariamente a tutte le prospettive e le speranze dei sanitari e dei familiari. In cinque giorni ha raggiunto l’amata sposa, richiamato da un amore che non era mai stato nascosto. Si erano sposati poco più che ventenni e si sono impegnati con le loro attività sulla piazza del paese, il piccolo negozio di alimentari e il distributore di benzina. Con tanti sacrifici, avevano fatto studiare fino alla laurea tutti i loro figli, ai quali consegnavano una sola raccomandazione: «State uniti, aiutatevi, vogliatevi sempre bene». Poi la vecchiaia con gli inevitabili acciacchi e la salute che via via diminuisce, ma sempre insieme, costretti entrambi in carrozzella, ma con la mente e con il cuore sempre aperti a un sorriso e a una parola amabile con tutti. Ogni domenica erano a messa nei primi banchi, le due carrozzelle affiancate perché loro dovevano tenersi per mano, anche in chiesa, così come facevano tutte le sere prima di addormentarsi. Conosciuti e stimati da tutti in paese, avrebbero visto l’intera comunità stringersi attorno alle loro bare, ma per le restrizioni dovute alla pandemia solo i figli li hanno accompagnati nell’ultimo viaggio al camposanto, ma in tanti si sono affacciati alle finestre o sull’uscio di casa con un segno di croce al loro passaggio verso la piazza. «Si sono amati di quell’amore semplice ma vero, sono stati vicini sempre, anche nella vecchiaia e nell’infermità, e persino quando la vita giunge al termine hanno voluto stare insieme, sebbene le restrizioni e le condizioni di salute li tenessero lontani fra di loro e dall’affetto dei familiari. L’unica cosa che conta è proprio questo amore, la più grande eredità che ci hanno lasciato e che porteremo con noi, per sempre», aggiungono i figli, convinti che papà e mamma siano di nuovo insieme, liberati dalle carrozzelle, sempre mano nella mano, capaci di camminare e far festa come nei loro vent’anni. •

Vittorio Zambaldo

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