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Quell’antico vizio
della montagna
e dei fuorilegge

«Il Passatore», film del 1947  di Duilio Coletti«Banditi a Orgosolo», del 1961, di Vittorio De Seta
«Il Passatore», film del 1947 di Duilio Coletti«Banditi a Orgosolo», del 1961, di Vittorio De Seta
«Il Passatore», film del 1947  di Duilio Coletti«Banditi a Orgosolo», del 1961, di Vittorio De Seta
«Il Passatore», film del 1947 di Duilio Coletti«Banditi a Orgosolo», del 1961, di Vittorio De Seta

Enrico Camanni, nel suo Alpi ribelli, chiama «vizio montanaro» la rivendicazione di una diversità geografica e culturale che si compiace nel sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli antagonisti, gli eretici, «rifugio e megafono delle anime libere e contrarie».

È dunque un «antico vizio» quello della montagna, di ospitare chi, per diversi motivi, la sceglie per vivere la sua condizione di fuorilegge. E non è soltanto una questione di rifugi e nascondimenti tra i boschi, gli anfratti, i valloni scoscesi e altri luoghi impervi da raggiungere e dove trovare facili vie di fuga. È di più. È quel richiamo a «salire in montagna» con cui i plebei sceglievano il colle dell’ Aventino per scampare alle lotte con i patrizi romani; è il bisogno di un rifugio protetto dove rivendicare la propria radicalità religiosa che cercavano gli eretici di Fra Dolcino quando si rifugiarono in Valsesia per fuggire dalla crociata del vescovo di Vercelli; è il richiamo ai doveri della Storia quello a cui sentivano di rispondere i «piccoli maestri» di Antonio Giuriolo quando scelsero la via dell’ Altopiano di Asiago per combattere contro il nazifascismo.

Sono storie di montagne italiane, ma allargando lo sguardo al mondo, in altre epoche, regioni e culture, la montagna si definisce come luogo di aspirazione a qualcosa di alto, di grande, dove sfogare la ribellione contro l’autorità e rendere possibile la lotta.

Il cinema italiano ha raccontato il fenomeno del banditismo e del brigantaggio in montagna ampiamente: accanto ai film più celebri, si contano molte opere, anche documentaristiche, che sono spesso legate ai luoghi di provenienza montani dei loro autori.

Il Film Festival ha scelto per questa retrospettiva cinque film, con un percorso cronologico che mostra un cambiamento di descrizione e giudizio sulla figura del bandito in montagna. Al mito del brigante spietato con i ricchi e generoso con i poveri, si rifà Il Passatore di Duilio Coletti del 1947, che tratteggia la figura di Stefano Pelloni, il Passator cortese delle colline Romagnole a metà Ottocento. Cinque anni dopo, nel 1952, Pietro Germi gira Il brigante di Tacca del Lupo, ambientato sulle montagne della Basilicata.

Entrambi i film soggiacciono a stilemi cinematografici molto classici, senza pretese di approfondimento, adatti al pubblico dei cinematografi di provincia in cui la figura del fuorilegge, che combatte contro le vessazioni di un potere quasi sempre ingiusto, poteva consolare delle ingiustizie e fatiche patite ogni giorno, nel secondo Dopoguerra.

A segnare un cambio di passo è Vittorio De Seta, nel 1961, con Banditi a Orgosolo, il suo lungometraggio di esordio, che resta uno dei suoi capolavori. De Seta, da grande documentarista, sceglie i pastori della Barbagia per fare interpretare i personaggi del suo film, e sceglie la montagna come vera protagonista, e non come semplice sfondo. Un anno dopo, Francesco Rosi insinua sul tema il suo originalissimo sguardo di inchiesta e di denuncia girando Salvatore Giuliano, film complesso, almeno quanto il suo protagonista.

Briganti senza leggenda di Gianluigi Toccafondo ha già nel titolo il mutamento del punto di vista e quanto intorno a queste figure poco si addica oggi quell’aura di mito che le avvolgeva. V.Z.

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