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«La tenerezza di Italo trasmessa anche nelle sue sculture»

I funerali di Italo Erbisti celebrati nella chiesa di San Vitale di Roverè Veronese FOTO PECORA
I funerali di Italo Erbisti celebrati nella chiesa di San Vitale di Roverè Veronese FOTO PECORA
I funerali di Italo Erbisti celebrati nella chiesa di San Vitale di Roverè Veronese FOTO PECORA
I funerali di Italo Erbisti celebrati nella chiesa di San Vitale di Roverè Veronese FOTO PECORA

È stato un addio semplice e intimo, quello dedicato a Umberto Italo Erbisti, lo sculture 83enne morto nel rogo della sua antica casa in pietra, forse per un malore o forse soffocato dal fumo dell’incendio che si era sprigionato al piano superiore, quello in cui passava la maggior parte delle sue ore. Il rito funebre è stato concelebrato all’arrivo della bara, in legno chiaro con un cuscino di rose rosse, da don Matteo Zandonà, parroco a Roverè e San Vitale da quattro anni, e da don Giovanni Gottoli, che era stato pastore a lungo in questa comunità. «Un artista, ma prima ancora un amico, con cui mi intrattenevo volentieri», ricorda don Giovanni a fine cerimonia, rivelando di aver avuto la fortuna di poter ospitare Erbisti a pranzo tante volte in canonica. Don Matteo ha avviato la messa invitando al pentimento, «perché certe tragedie capitano anche per l’indifferenza e la mancanza di collaborazione fra privati, istituzioni e associazioni. Chiediamo perdono e impegniamoci a lavorare di più in sinergia per la nostra comunità», ha esortato il parroco. Nell’omelia ha voluto sottolineare come «nessuno si salva da solo, ma tutti abbiamo bisogno di quel ponte che unisce terra e cielo rappresentato da Cristo e dalla forza che ci arriva dall’alto». Poi facendo riferimento esplicito a Italo Erbisti, ha citato Michelangelo e la sua idea di scultura come scoperta e liberazione della figura dalla materia che l’avvolge: «Le sue Madonne e i suoi Crocifissi non hanno solo una grande tenerezza, ma anche una grande interiorità, come traspare dai volti dei bambini ritratti». La chiesa di San Vitale conserva una sua opera che fa riferimento esplicito a questo: un bambino accanto al fonte battesimale e concepito per reggere il cero pasquale. Anche qui esce prepotente il carattere di Italo: avrebbe potuto scolpire un candelabro per reggere un cero, o un angelo, come capita di vedere spesso. Invece ha scelto un bambino, segno di innocenza e tenerezza. Le stesse che vedeva nel piccolo Michele, sei anni, l’amico che si sedeva ad ascoltare le sue storie per ore e che invano lo ha atteso in questi giorni a casa, dove andava per chiedere cibo per i suoi gatti e per scambiare due parole in compagnia. Alla nonna Antonella ha confidato: «Se Italo non viene più, andiamo a trovarlo noi in cimitero». L’amico scultore tregnaghese Raffaele Zanini a lungo, come tanti altri amici e parenti, aveva cercato di convincerlo a non ostinarsi a restare da solo: «Lo invitavo anche a continuare a coltivare la scultura, ma negli ultimi quattro anni non aveva più voluto prendere in mano lo scalpello. L'ultima sua uscita pubblica era stata la mostra collettiva dell’arte cimbra a Soave, l’unico luogo dove era tornato volentieri». Da lontano, restando nella loro comunità di Verona, le suore Serve di Maria si sono unite alla preghiera durante la cerimonia funebre per l’amico Italo: «Venivano d’estate per qualche settimana a vivere nella canonica di San Vitale e Italo ci colpiva sempre per la semplicità e l’umanità», racconta suor Paola. «Non era di tante parole ma ci regalò una Madonnina incompiuta e ricevette da suor Rina, cieca dalla nascita e che lui ammirava per come sapeva lavorare ai ferri, un centrino che collocò sotto una sua scultura. Ci adoperammo perché alcuni suoi presepi fossero presenti in Arena e uno di questi oggi fa parte della mostra permanente allestita a Betlemme. Un uomo semplice, ma nello stesso tempo grande e buono. Spero che le sue opere non vadano disperse, ma siano riunite, per dare a tutti la possibilità di capire la profondità della sua sensibilità», conclude. •

V.Z.

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