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Il ricordo di Cinetto
che realizzò le aquile
simbolo dell’Italia

Ivonne Cinetto con il cappello del papà e Claudio Mascanzoni
Ivonne Cinetto con il cappello del papà e Claudio Mascanzoni
Ivonne Cinetto con il cappello del papà e Claudio Mascanzoni
Ivonne Cinetto con il cappello del papà e Claudio Mascanzoni

Ivonne Cinetto, figlia di Giuseppe, lo scultore di Gargagnago autore del monumento di Passo Fittanze e della Madonna degli alpini sull’Ortigara scomparso a 95 anni a gennaio, era presente alla cerimonia con in mano il cappello da alpino del padre, insieme a Claudio Mascanzoni, capogruppo degli alpini di San Pietro in Cariano, gruppo che Cinetto aveva contribuito a fondare. Di lui ha parlato Alfonsino Ercole, consigliere nazionale, ricordando come nel 1998 non si sia risparmiato di salire sulla colonna della Madonna degli alpini, a 13 metri d’altezza per riparare i danni causati da un fulmine alla scultura. «È stato un esempio per tutti e come lui zaino in spalla e camminiamo per cambiare questa società che non ci piace, avendo il coraggio di fare battaglie di civiltà, tolleranza e giustizia», ha detto.

Ivonne ha ricordato il significato delle due aquile che adornano il monumento di Passo Fittanze, una in alto con lo sguardo verso la pianura e una in basso con la testa chinata: «Simboleggiano l’Italia vincitrice sull’Austria, l’aquila fiera, che guarda verso l’Italia e quella sconfitta», ha detto, ricordando che il padre fu sul fronte francese e poi in Montenegro, rientrato a La Spezia poco prima dell’ 8 settembre del 1943.

Aveva l’incarico di perlustrare e disegnare la cartografia dei paesi dove le truppe di artiglieria alpina combattevano. Dopo l’armistizio si trovò ad avere il comando di 800 alpini e per salvare loro la vita diede l’ordine che se ne tornassero tutti a casa.

Ad ascoltare il racconto ci sono due reduci presenti al pellegrinaggio: Angelo Vanti di Stallavena e Alfredo Laiti di Grezzana, entrambi classe 1921. Vanti è reduce di Russia, ferito alla spalla da una scheggia che lo rese sordo e cieco dalla parte sinistra della faccia. È riuscito a fare tutta la ritirata e a salvarsi con cinque mesi di ospedale.

Laiti invece ha combattuto in Slovenia ed è poi stato internato in Germania sull’Elba, in un campo di lavoro da cui poté assistere all’ultimo furioso combattimento fra tedeschi e americani, con bombardamenti che distrussero tutto eccetto il campo dove c’erano i prigionieri. V.Z.

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