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«Il progetto sul Parco punta a gestire meglio quest’area»

Alessandro Montagnoli, primo firmatario del progetto di legge di modifica dei confini del Parco della Lessinia, interviene sull’argomento per sgombrare il campo da interpretazioni che ritiene pretestuose: «Diciamolo una volta per tutte: il progetto di legge non vuole deturpare un ambiente delicato e splendido, e non vuole imporre un nuovo modello di gestione calato dall’alto agli amministratori locali. Al contrario, è un progetto pensato proprio in base alle esigenze del territorio di cui i sindaci si sono fatti portavoce. Non vuole favorire la costruzione di nuovi edifici all’interno del Parco, né tanto meno allentare i vincoli paesaggistici, ma piuttosto facilitare la gestione di quest’area così delicata. E ad esprimere questo bisogno sono stati proprio i cittadini e gli amministratori, alle prese con vincoli a volte assurdi o con animali selvatici dai quali non possono difendersi. Chi quindi ci accusa di voler deturpare il nostro Parco, o parla senza cognizione di causa, oppure parla per fare becera polemica politica, strumentalizzando quella che è una ricchezza enorme, dal punto di vista paesaggistico, culturale ed economico, per l’intera regione», sottolinea Montagnoli. Ma le polemiche non si placano e le associazioni ambientaliste chiamano alla mobilitazione generale in vista del voto in Consiglio regionale che sancirà l’approvazione della legge. Angelo Mancone, responsabile di Legambiente per le aree protette, evidenzia: «Tutti gli interventi dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste in Seconda commissione citavano studi, iter amministrativi, leggi. Nulla di tutto questo negli interventi dei sindaci. È stato portato l’esempio delle aree contigue del Parco che sarebbero un pericolo per le zone artigiani, senza sapere che non sono necessarie aree contigue per tutto il perimetro del Parco». «E ancora è stato portato il pretesto della necessità di svincolarsi dal divieto di caccia per contenere i cinghiali, ma sono nove anni che è iniziato l’iter del piano di controllo del cinghiale», ricorda Mancone, «e mai è stato applicato, per il boicottaggio prima dei consiglieri del Parco che nel 2013 disertarono la seduta impedendo l’approvazione delle norme che lo autorizzavano e poi gli uffici regionali che imposero la valutazione strategica (non ancora chiusa oggi) a dispetto di delibere di Giunta regionale e a differenza del Parco dei Colli Euganei, dove di valutazione strategica non si parla. La campagna elettorale incombe e bisogna procurarsi i voti della lobby dei cacciatori: cosa c’è di meglio che ingannare i proprietari e gli allevatori che non fruiranno più dei punteggi garantiti dall’essere nel Parco per i finanziamenti del Piano di sviluppo rurale, illudendoli che avranno mano libera dalla burocrazia del Parco considerato ente inutile, ma non certo quando erogava finanziamenti a quei privati e Comuni che oggi lo dileggiano», conclude. Verona Birdwatching, che dal 2006 pubblica ogni anno il Resoconto ornitologico del Parco porta dati eloquenti: «Erano 111 le specie censite al momento dell’approvazione del Parco; oggi sono 190. La riduzione dei confini del Parco è assolutamente inammissibile», sottolinea Verona Birdwatching, ricordando l’insostituibilità dei vaj come corridoi ecologici per l’avifauna, perché alcune specie trovano proprio lì il loro ambiente ideale: falco pellegrino, aquila reale e gufo reale, «tre specie soggette al grado massimo di tutela non solo per uccelli, uova e nidi, ma anche per l’habitat da loro frequentato e la caccia dentro i vaj andrebbe a disturbare l’attività di nidificazione, oltre a uccisioni e ferimenti come già accaduto in passato». In una relazione comune Wwf, Associazione Il Carpino e Giros (Gruppo italiano per la ricerca sulle orchidee spontanee) ribadiscono che i vaj, destinati ad essere tagliati dal perimetro del Parco, «ospitano probabilmente la parte più rilevante e più interessante della biodiversità vegetale e animale presente nel Parco. Inoltre costituiscono tre essenziali corridoi ecologici che collegano l’area collinare con l’area montana, vitali per l’avifauna, ma anche per molti mammiferi e per alcune specie vegetali che attraverso questi corridoi riescono ad allargare il proprio areale verso sud o verso nord». Negli allegati dimostrano che nei 30 anni di Parco, la presenza dei mammiferi è decuplicata. «Negli anni Settanta erano scomparsi cervi, caprioli, camosci, marmotte e altri mammiferi minori, a causa soprattutto della caccia indiscriminata. Ora si tratta di capire se davvero vogliamo ritornare a quella situazione», concludono. •

Vittorio Zambaldo

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