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IL RACCONTO

La Lessinia senz'acqua: un giorno nelle frazioni di Velo rifornite dalle autobotti

In contrada Valdivelo, a Velo veronese, l’acqua scarseggia
In contrada Valdivelo, a Velo veronese, l’acqua scarseggia
La Lessinia quasi a secco (il servizio di Telearena)

Nella notte finalmente è caduta la pioggia. «Troppo poca, però». Giovanni Aganetti, allevatore, si alza all’alba e, per prima cosa, va ad aprire i rubinetti di casa sua, a Valdivelo: piccola contrada a mezzo chilometro a nord di Velo Veronese. Controlla se, a differenza del giorno precedente, l’acqua c’è. Il fiotto scende, tossendo e scaricando piccoli detriti: «Sì, per il momento c’è». E tira un sospiro di sollievo. L’ansia però non passa.

A singhiozzo Da giorni l’acqua va e viene, pompata da valle e alimentata anche dalle autocisterne di Acque Veronesi, che riforniscono il serbatoio a monte dell’abitato. Bisogna fare «il pieno», chi ha la fortuna di risiedere subito sotto il deposito riesce a rifornirsi prima e meglio; coloro che abitano verso le ultime diramazioni delle tubature ricevono invece assai meno. Insomma la situazione resta precaria. E critica. È da un po’ che Giovanni non riesce a farsi una bella doccia. E i suoi familiari? «Eh, neanche loro. Col flusso a singhiozzo», risponde, «è un lusso».

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Il momento peggiore Il giorno prima è stato «il più difficile. Siamo rimasti a secco per tante ore di fila». Lui e la sua famiglia - moglie e tre figli - hanno dovuto, «taniche alla mano, come era d’abitudine per i nostri nonni un tempo, fare la spola verso una qualche sorgente nei dintorni. Una che non sia completamente secca: la maggior parte lo è già dall’ inizio dell’estate». Così, nei bidoni in casa, si accumula una piccola scorta idrica necessaria a tutte le normali incombenze domestiche. Pulire le stoviglie, lavare i panni, tirare lo sciacquone... Per bere e cucinare i pasti, si usa la minerale, comprata a pacchi al supermercato, oppure ordinata e portata su dai corrieri: finché si parla, eccone appunto uno scaricare le bottiglie di plastica da un litro e mezzo per un’anziana della contrada.

Preoccupazione Però non sono questi disagi a preoccupare maggiormente Giovanni: «Il modo di arrangiarsi in casa lo si trova, almeno per un po’», afferma. È che, accanto all’abitazione, c’è il suo allevamento con ottanta mucche da latte, una stalla condotta, prima di lui, da suo padre e dal padre di suo padre. Quel latte diventerà Grana, Monte Veronese, mozzarelle. Giovanni deve giocoforza garantire al suo bestiame «cento quintali d’acqua per l’abbeveraggio quotidiano. Altrimenti sono guai». Anche Silvia Fiorentini è preoccupata. Quando, lo scorso fine settimana, sono rimasti asciutti i rubinetti di San Francesco, frazione a nord di Roverè, il suo ristorante Orfea, poco distante dalla chiesa, è andato avanti solo grazie alle cisterne private che, previdentemente, erano state installate e riempite. Lo stesso per gli altri esercizi del paese. «Abbiamo un’autonomia di un paio di giorni al massimo», spiega Silvia. Questo fatto di fiondarsi ogni mattina a verificare se «l’acqua c’è» o «non c’è» sta diventando più logorante a ogni levar del sole.

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Insicurezza Un refrain molesto che, soprattutto, «non si sa quando finirà. Agosto è l’incognita più grande. Se non piove, ma parecchio, non so come faremo. E poi», sospira, «servono investimenti sull’acquedotto, che è vecchio e ha perdite». San Francesco conta solo un centinaio di residenti fissi all’incirca. Ma d’estate, fra turisti che salgono e seconde case che riaprono, la frazione arriva a ospitare un migliaio di persone, talvolta duemila. E la richiesta d’acqua si impenna. Chi, dei villeggianti, ha parenti o conoscenti nelle località limitrofe, nei giorni scorsi si è fatto «prestare» il bagno per potersi almeno lavare.

Chi scappa «Altri che non avevano questa possibilità, hanno dovuto rinunciare alla vacanza e tornare a valle. Come si può pretendere che un turista stia più giorni senza potersi fare una doccia? Per noi è un danno». Si inserisce Maurizio Fiorentini, geometra, storico abitante e capogruppo locale degli Alpini di San Francesco: «Non è la prima volta che succede», ricorda. «Era già successo nel 2003, e pure una decina d’anni fa.

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Passaparola In paese si va di passaparola: quando finirà? quando ritornerà? Appena vieni a sapere che, verso sera, si prevede di restare ancora senza, corri a fare la doccia e tutte le altre cose per cui serve acqua». «Per fortuna», aggiunge, «queste brutte esperienze stanno insegnando alla gente, per primi ad agricoltori e allevatori della zona, che bisogna conservare l’acqua quando ce n’è». Continua la ristoratrice Silvia: «Per lavorare - cucinare, lavare i piatti, pulire - l’acqua delle nostre cisterne la dobbiamo centellinare. Ma quando gli abitanti, qui intorno, sono rimasti all’asciutto, sono venuti a chiedercela».

Solidarietà Ecco, emerge questo fenomeno. La condivisione, pur oculata. Il bacino artificiale di Malga San Giorgio, da cui il sindaco di Bosco Chiesanuova ha permesso in via eccezionale il prelievo ai soli allevatori, si è già svuotato per un terzo. Le pozze degli alpeggi sono evaporate. Le sorgenti sono secche. Ora l’acqua è così poca che fatica a bastare per ciascuno. Eppure chi ne ha un po’, la spartisce. Nella giornata di «secca totale», le mucche di Giovanni muggivano nervose per la sete e il caldo. Anche qui, a 1.100 metri d’altitudine, si toccano massime di 30 gradi. «Ho agganciato al trattore la cisterna da 25 quintali, e sono partito in cerca di acqua per gli animali», racconta l’allevatore. «Sono andato a chiederla agli amici e agli allevatori nei dintorni. Nemmeno loro ne avevano molta, ma me ne hanno ceduta un po’. Ho fatto quattro giri, avanti e indietro, e per quel giorno ce l’ho fatta». «Nella difficoltà ci si aiuta. L’acqua ora è il bene più raro e prezioso. E pensare a quanta eravamo abituati ad averne qui in Lessinia!», esclama Giovanni. «Ce la spartiamo per cercare di andare avanti tutti. Ma la prossima volta?».

Lorenza Costantino

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