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«Ho visto quattro lupi, li ho fatti scappare»

Lorenzo Rozza davanti alla stalla, in primo piano il gregge
Lorenzo Rozza davanti alla stalla, in primo piano il gregge
Lorenzo Rozza davanti alla stalla, in primo piano il gregge
Lorenzo Rozza davanti alla stalla, in primo piano il gregge

Erano le 6.30 del mattino e come, tutti i giorni, ha aperto la stalla per fare uscire le pecore all’aperto ed è andato a lavorare nell’orto lì vicino, quand’ecco che ha viste tutti i suoi animali correre verso di lui. «Ho alzato gli occhi, convinto che ci fosse una volpe, e invece ho visto quattro lupi: erano saltati nel recinto. Avevano azzannato un agnello. Sono corso verso di loro con un bastone, battendo le mani, e si sono messi in fuga». Ad avere il privilegio di essere l’unico nel veronese ad aver assistito in diretta a una predazione - privilegio di cui avrebbe volentieri fatto a meno - è il pastore Ettore Rozza. L’attacco dei lupi al gregge è avvenuto sabato, in contrada Faggioni, Fajùn in lingua cimbra, ad un chilometro dal centro di Giazza, su un ripido pendio del versante sinistro della Val d’Illasi, proprio sopra la strada provinciale che finisce nella frazione cimbra e a una trentina di metri dalla case della contrada. Le pecore di razza Brogna sono di proprietà dei cugini del signor Ettore, i fratelli Mario e Lorenzo Rozza. Lui le ha in custodia, va tutti i giorni all’alba ad aprire la stalla e torna la sera per rinchiudere gli animali. Il pascolo è recintato da una rete alta poco più di un metro. «I lupi prima di scappare mi hanno guardato, poi hanno abbandonato la preda e sono scappati verso il bosco, dopo aver saltato il recinto», riprende Ettore. L’allevatore a quel punto ha cercato di occuparsi dell’agnello, che però è morto pochi istanti dopo, perché i lupi lo avevano azzannato al collo. La carcassa era ancora praticamente integra, con una sola piccola ferita sullo sterno; l’inizio del consumo che i predatori avrebbero completato se non fosse intervenuto a disturbarli il pastore. Sul posto, chiamato dal cugino, è arrivato anche Mario Rozza. «Con il caldo di questi giorni», spiega, «non potevo certo aspettare a seppellire la carcassa. L’ho spostata fuori del recinto, al margine del bosco. Quindi sono tornato domenica mattina con la calce viva e la vanga per sotterrarla: potevo farlo perché l’animale aveva meno di cinque mesi e ancora non iscritto all’anagrafe ovina». Ma non c’era più. Al posto della carcassa, solo un mucchietto di lana: i lupi, o altri predatori, sono probabilmente ritornati sul posto e hanno completato il pasto iniziato con la predazione. «Sapevamo che c’erano lupi, anche nei paraggi», dicono i cugini Rozza, «perché all’esterno dell’ovile troviamo spesso impronte: vengono in perlustrazione, ma di notte non riescono a entrare». La stalla è infatti ben congegnata, costruita in muratura, con finestre alte e provviste di grate. Anche la porta d’ingresso è una grande grata di rete in ferro elettrosaldata, che di notte viene chiusa e impedisce l’accesso a qualsiasi cosa sia più grande di un pugno. È bastata a difendere il gregge rinchiuso per il riposo, ma non quand’era al pascolo. «D’altra parte, la dozzina di pecore che abbiamo, con i loro agnelli di tre - quattro mesi, quasi pronti per la vendita, fanno vita all’aperto ma di giorno con il caldo, pur avendo a disposizione acqua corrente, mangiano pochissimo. I pasti vengono rinviati alle prime ore del mattino o verso sera, quando cala la temperatura e il gregge si anima». E adesso? «Siamo pensionati e ci piace tenere puliti i nostri prati. Già quest’anno non abbiamo potuto falciare un prato e lo abbiamo lasciato incolto. In questa maniera non si può andare avanti», commenta Mario, il fratello più anziano. Con Lorenzo hanno anche una stalla con 15 vacche e cinque vitelli, che ora sono in alpeggio in località Selle, fra Giazza e Malga Lobbia. «Anche lì ogni sera portiamo i vitelli dentro, lasciando solo le vacche all’esterno. A quelle non è mai successo nulla perché sono grosse, ma fino a quando si andrà avanti così? Con metà degli animali di una volta siamo comunque costretti a lavorare il doppio o il triplo. Mangeranno fino al prossimo autunno ma poi ci pensiamo noi a fare pulizia», conclude Mario. In che senso? «Chiudiamo l’azienda. Abbiamo entrambi la pensione e possiamo farlo, ma ci spiace per i giovani che hanno davanti un futuro che non si può accettare». •

Vittorio Zambaldo

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