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A Campobrun

Erica e Fabio, fra le mucche in alpeggio per vocazione: «Qui capisci cos'è davvero essenziale»

La storia dei fratelli Peloso, che hanno ereditato la tradizione di famiglia di «custodi» di malga Campobrun
Erica e Fabio Peloso a Campobrun
Erica e Fabio Peloso a Campobrun
Erica e Fabio allevatori a Campobrun (video Pecora)

Ventiquattro anni, un'altra estate trascorsa in alpeggio. Erica Peloso non si vede in nessun altro luogo se non tra le montagne. Lassù dove, dal nonno, ha imparato un mestiere che non spopola tra le sue coetanee. 
È un’allevatrice: scelta che ha abbracciato con convinzione e coraggio, quando tutti erano contrari perché, per quel lavoro era sprecata.

 

La vita all'alpe di Campobrun

All'alpe di Campobrun, conca verde che sfiora le nuvole a 1.661 metri d'altitudine tra le creste del monte Plische e la costa media di cima Carega, la sveglia suona alle 5. 
È la mungitura l'attività che apre la giornata. «Non prima», esordisce, «di aver radunato gli animali nella stalla. Le manzette rimangono nelle vicinanze della malga, le vacche da latte pascolano dove vogliono». 
Da prati generosi d'erba e fiori, il latte risulta più buono, a garanzia dei prodotti che in quota prendono forma: formaggi e caciotte, ricotte fresche e affumicate, burro. 
«E lo yogurt, scommessa di qualche anno fa, molto apprezzato. Cerchiamo di migliorare sempre», precisa con orgoglio. Lo confermano i complimenti degli escursionisti di passaggio che trovano tavoli e panche su cui fermarsi per apprezzare bontà dei prodotti e panorama.
A vegliare sulla caldera riscaldata dal fuoco della legna, c'è la foto del nonno paterno, Lino. Tutto è partito da lui: custode dell'alpe fino a quando, passati gli 80 anni, ha dovuto a malincuore smettere il mestiere di una vita. È mancato 5 anni fa, ma la sua passione rivive nei nipoti: Fabio, di 28 anni, che è stato il primo a raccogliere il testimone nel 2014. 

 

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L'arrivo di Erica

Tre anni dopo, la sorella Erica l'ha raggiunto: «Era impossibile riuscisse a proseguire da solo. In due ci facciamo coraggio». Alle spalle hanno stagioni trascorse fin da piccoli in alpeggio, da metà giugno a fine settembre, dove entrambi hanno fatto propri segreti, respirato dedizione, rafforzato lo spirito di sacrificio.
La seconda mungitura è alle 18. Nel mezzo? «Non ci si annoia», scherza l'allevatrice, accarezzando il cane Argo, fidato aiutante. La lavorazione dei latticini occupa la mattinata e tanto viene fatto a mano: la salatura, accarezzando le forme una a una; pure la stagionatura richiede attenzioni. Poi ci sono gli animali da gestire: la mandria dei Peloso conta 20 manze da latte e 15 vitelli. C'è la legna da recuperare e tagliare; con la raccolta, si puliscono i sentieri dai sassi. 

 

Niente tv, poco telefono, a letto presto

«Niente tv, i telefoni prendono poco e si va a letto presto», riassume e il (poco) tempo per sé resta per una passeggiata o la lettura di un libro. L'allevatrice è cresciuta a Badia Calavena e ha studiato da corrispondente in lingue estere: parla inglese, tedesco, russo.
«È importante fare quello che piace più che essere chissà dove», confessa, aggiungendo di aver preferito la natura allo stare dietro ad una scrivania, sebbene gli insegnanti volevano percorresse altre strade. 
Lei ha imboccato le terre alte e i genitori hanno capito.
«È un lavoro a cui ti affezioni», rimarca. «Se ci sono riusciti gli altri, possiamo farcela anche noi», si ripete quando ha qualche preoccupazione. Ha la residenza in contrada Roncari a Campofontana, nel comune di Selva di Progno, nell'abitazione del nonno.
Qui tornerà dopo il 25 settembre, accompagnando la mandria a casa: 6 ore di cammino, scendendo a Giazza e risalendo da contrada Gauli. Finché, l'anno prossimo, arriverà un'altra stagione in alpeggio. 
«Vivi fuori dal mondo, mi dicono», conclude, «ma non mi sono mai pentita della mia scelta. Non potrei desiderare altro».

 

Nonno Lino, custode dell'Alpe

L'alpe di Campobrun si raggiunge solo a piedi, partendo dal rifugio Revolto, sopra il paese di Giazza (Selva di Progno). È un fazzoletto di paradiso verde, non soltanto per le mucche che lì pascolano felici nei prati. La malga è stata ristrutturata qualche anno fa ed è illuminata grazie ai pannelli solari; una vasca di recente installazione aiuta a raccogliere l'acqua piovana ed è stata provvidenziale con la siccità; recinti elettrificati servono a proteggere gli animali dai lupi che bazzicano tra i pascoli, tenendo lontane le predazioni.

Quando Lino Peloso, per un periodo affiancato dal fratello Leone, iniziò ad essere il custode dell'alpe (era il 1951) mancavano sia l’elettricità che l’acqua corrente. Man mano si sono aggiunte le comodità, tanto che adesso è un piccolo ma accogliente punto di sosta per chi si incammina sul Carega. Ma il sottile filo che unisce passato e presente rimane la passione, tramandata ai nipoti Erica e al fratello Fabio. Sale in alpeggio da quando ha 16 anni, racconta l'allevatore, che in tasca ha un diploma tecnico mai utilizzato. «Mio nonno era testardo, non voleva lasciare la montagna», sottolinea. «Ed è stata una fortuna, fino a quando sono subentrato io», spiega. Una decisione dettata dall'istinto e dal cuore, ammette senza rimpianti: «Mi dispiaceva che tutto andasse abbandonato». C'era un patrimonio di tradizioni da salvare e migliorare: «Questo è un mestiere che impari facendo, sbagliando e sperimentando. Qui capisci cosa è veramente essenziale nella vita». 

Marta Bicego

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