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SELVA DI PROGNO

Emergenza profughi, in paese torna la pace

«I costi sono a carico dello Stato e dell'Unione europea, non si poteva preavvisare perché avevamo poche ore per agire»
L'assemblea pubblica sul tema dei profughi  FOTO AMATO
L'assemblea pubblica sul tema dei profughi FOTO AMATO
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L'assemblea pubblica sul tema dei profughi FOTO AMATO

È stato un incontro sereno e pacato, l'assemblea convocata a Giazza dal sindaco Aldo Gugole, con la presenza del viceprefetto Francesco Massida, per informare la popolazione sull'arrivo, avvenuto una settimana fa, di una ventina di profughi del Bangladesh che sono ospitati all'albergo Belvedere.
La presenza degli stranieri, parte di un contingente di 94 accolti nella nostra Provincia, non era stata né annunciata né tanto meno concordata e su questo il sindaco, in apertura di serata, ha voluto nuovamente ribadire di aver saputo la cosa da voci di paese. «È stato qualcosa calato dall'alto, ragione per la quale mi sono fatto sentire con il prefetto Perla Stancari, che si è scusata e mi ha spiegato le ragioni dell'emergenza», ha detto.
Sull'argomento è tornato anche il viceprefetto Massida ricordando che, in un solo anno, l'Italia è stata chiamata ad offrire accoglienza tanta quanta nei 10 anni precedenti. «L'arrivo in massa di queste persone non era mai capitato e il nostro compito, nella concitazione dell'emergenza, è stato quello di ripartire il sacrificio, tenendo conto di due variabili importanti: il tempo a disposizione e l'offerta di strutture. Tutto questo nel giro di pochissime ore: questa la causa della mancata tempestiva comunicazione al sindaco», ha sottolineato il viceprefetto.
Attualmente nel Veronese sono 350 i profughi, 78 dei quali provenienti dal Bangladesh, che non è un paese in guerra. Tuttavia, queste persone non erano a casa loro bensì in Libia a lavorare, quando è scoppiato il finimondo fra bande per il controllo del Paese e lì la guerra invece c'era. Per questa ragione sono scappati dall'unica via possibile, quella per mare, con tutte le sue insidie che sono note a chiunque.
Diverse le preoccupazioni emerse negli interventi dei cittadini: chi paga i costi di questa ospitalità; chi garantisce un lavoro; quanto durerà la loro presenza in paese; perché una concentrazione così alta di profughi in un piccolo paese di montagna la cui popolazione è poco più di tre volte quella dei profughi.
«I costi sono per il 50 per cento a carico dello Stato e per il resto suddiviso fra Unione Europea, Onu e altri organismi internazionali», ha risposto Massida, «ed è vero che la concentrazione in paese è alta, ma è stata determinata dall'urgenza e dalla disponibilità di posti. È nostro impegno provvedere quanto prima a una distribuzione più equa del carico e favorire il più possibile l'impiego in attività socialmente utili di queste persone. Tuttavia, finché non ottengono lo stato di rifugiati non possono essere inseriti in liste di collocamento, mentre è lodevole il progetto del sindaco che ha proposto di coinvolgerli in piccoli lavori di manutenzione ordinaria delle aree verdi, dei sentieri, dei parchi giochi, tutto quanto insomma possa concorrere al benessere della comunità».
Il viceprefetto ha ribadito il diritto di esigere da loro il massimo della correttezza nei comportamenti ma anche il dovere di non consentire azioni di disturbo nei loro confronti. Ha rassicurato quanto alle problematiche sanitarie, perché queste persone sono state tutte controllate più volte al momento dello sbarco dai medici sul posto e i controlli continuano con visite periodiche in convenzione con l'ospedale di Negrar, specializzato in malattie tropicali. «Se la paura è quella dell'Ebola potete star tranquilli», ha ripreso Massida, «perché il ciclo della malattia, dal contagio alla morte, è di 11 giorni. Queste persone arrivano da paesi che ne sono immuni e sono in viaggio da ben più giorni».
«Se sono scappati dalla guerra ben vengano», ha ripreso il sindaco, «ma perché non riportarli nel loro paese che in guerra non è?». «Una commissione esamina la situazione di ciascuno di loro e decide in un mese se accogliere la richiesta di status di profugo o respingerla. I casi accolti sono pochissimi finora», ha riposto Massida, «e per chi viene riconosciuto parte un programma di formazione professionale, informazione, mediazione culturale con apprendimento approfondito della lingua italiana, il tutto in strutture diverse da quelle che ci sono a Giazza».
«Per chi invece non otterrà il riconoscimento, ci sarà l'accompagnamento al paese d'origine e non ci saranno tappeti rossi per nessuno», ha promesso il viceprefetto, tranquillizzando chi ha temuto di perdere il lavoro a causa del loro arrivo, ma l'avviamento al lavoro con contratto, se ci sarà la richiesta, sarà solo per chi è regolarizzato e comunque non prima del precorso formativo che ha tempi lunghi.
Infine, il viceprefetto ha ribadito che nessuno sapeva in anticipo del loro arrivo e non c'è stato quindi nessun complotto del silenzio, ma che c'era stato solo un contatto con le associazioni di categoria degli albergatori per conoscere eventuali disponibilità per fronteggiare future emergenze, «perché tendopoli non ne vogliamo costruire, ma mettiamo in campo la nostra accoglienza senza stravolgere le regole che fanno funzionare questa comunità da sempre», ha concluso Francesco Massida.

Vittorio Zambaldo

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