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Don Corrado, un prete libero Festeggia i 50 anni di messa

Don Corrado Brutti
Don Corrado Brutti
Don Corrado Brutti
Don Corrado Brutti

È un prete singolare don Corrado Brutti, anche se ha fatto della pluralità e della vita comunitaria la sua essenza di vita. «Un nato prete», come si definisce lui, ma così lontano dai luoghi comuni, che fatichi a trovarne un altro simile. Quinto dopo quattro sorelle, non è neanche alla metà della lista di figli, dodici in tutto, di Cornelio Brutti e Laura Foffano, sfollati da Borgo Venezia a Sant’Andrea di Badia Calavena dove si era insediato il nonno paterno Basilio scendendo da Gardon di Velo per riuscire a mangiare. Nello stato sociale dell’anagrafe era registrato come «miserabile», ultimo gradino di una scala di povertà profonda di cui don Corrado non immaginava di trovare altri più in basso. «Invece grazie al mio compagno di studi Carlo Melegari, diventato sociologo, ho scoperto più tardi che esistevano al tempo anche i “miserabilissimi”, così ho chiamato i miei fratelli per dare la buona notizia che non eravamo gli ultimi e abbiamo fatto festa stappando una bottiglia di vino». Un carattere così, che sa trovare l’ironia anche nelle difficoltà, lo ha salvato da tante situazioni che lo avrebbero potuto stroncare. La storia dei suoi 79 anni raccontata in prima persona, l’ha raccolta in un libro Renzo Zerbato (Corrado Brutti, La mia vita da prete 1969-2019) pubblicato dalla parrocchia di Sant’Andrea e che sarà distribuito questa mattina al termine della celebrazione della messa delle 10 per festeggiare i 50 anni di ordinazione sacerdotale. Canteranno i bambini e sarà un gesto di riparazione per la prima «messa cantata» come si usava, che don Corrado rifiutò categoricamente di celebrare la domenica dopo l’ordinazione nella chiesa di San Giuseppe Fuori le mura a Borgo Venezia e spostandola alla sera di un giorno feriale. NON VOLLE il calice d’oro che sua madre voleva regalargli e chiese in cambio una Lambretta che gli permetteva di spostarsi, mentre la talare la mise solo raramente per accontentare la madre: «Non ho mai smesso di voler essere prima di tutto un uomo. Anche quando sarò morto voglio essere seppellito vestito da uomo», lascia scritto. Eppure si sente prete «forse sono nato prete, o lo sono diventato quando un giorno ho scoperto che un’altra vita non sarebbe stata la mia». Dopo quattro anni da curato a Valeggio, in contestazione del parroco di cui non condivideva metodi e pastorale preconciliare «perché io non ho mai usato minacce di inferni e la chiesa non deve essere di giusti, ma di peccatori pentiti e perdonati», iniziò nel 1973 la vita comunitaria alla Madonnina di San Giovanni Lupatoto con don Luigi Forigo, don Sergio Carrarini e don Piergiorgio Morbioli, quattro preti operai in una scelta a cui don Corrado resterà fedele per 36 anni, facendo l’insegnante di religione nel primo periodo, poi il muratore, l’operaio in una conceria, il presidente lavoratore della cooperativa di servizi La Panocia, fondatore di una società di riparazioni e manutenzione edilizia, mulettista in una cooperativa sociale di stracciaioli e fino al 2009 alla cooperativa di prodotti biologici La Primavera, prima di essere destinato a ritornare al paese natale di Sant’Andrea, dove però ha rifiutato il titolo di parroco per essere nominato solo amministratore parrocchiale. UNA VITA da contestatore «e lo sarei stato per sempre», dice, una vita aperta, come la porta della sua canonica e soprattutto libera: «Ho sempre scelto lavori umili e faticosi, dove a volte era difficile anche essere pagati», conclude citando la lettera di Paolo ai Galati: «Cristo ci ha liberati per farci vivere nella libertà, ma non servitevi di questa per i vostri comodi, ma per servire gli altri perché chi ama il proprio prossimo mette in pratica tutta la legge». •

Vittorio Zambaldo

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