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Colonnetta della Brea, la storia di Anderloni per non dimenticare

La colonnetta sparita lo scorso anno in circostanze da ricostruire
La colonnetta sparita lo scorso anno in circostanze da ricostruire
La colonnetta sparita lo scorso anno in circostanze da ricostruire
La colonnetta sparita lo scorso anno in circostanze da ricostruire

È passato un anno e non si sono trovate tracce della colonnetta della Brea, opera pregevole della pietà popolare, della quale sono rimasti, nel prato adiacente alla contrada, solo la base composta da tre blocchi quadrati sovrapposti e un moncone di stele al loro interno, probabilmente rotto al momento della rimozione. Ricordiamo che si tratta di un’opera unica nel panorama delle colonnette e tavolette dell’alta Lessinia perché se ne conosce il nome dell’autore Francesco Gugole, vissuto fra il 1791 e il 1860, ed è pregevole per l’originalità di concezione e fattura. È infatti bifacciale: sulla sommità riporta su un lato la figura della Vergine Assunta in cielo che sembra quasi danzare, mentre si leva verso l’alto, con le teste di tre angioletti inscritti in un poligono irregolare a sette lati e sull’altro in un poligono che diventa a nove lati una Pietà con la Vergine incoronata sul modello della Madonna della Corona. Attorno alla sua straordinaria composizione si era concentrata negli ultimi anni l’attenzione del mondo artistico e scientifico. Realizzata cent’anni prima della proclamazione del dogma dell’Assunzione (1950), la colonnetta della Brea è originale anche perché solitamente i lapicidi cimbri si concentravano su Crocifissione, Madonna con Bambino, ma anche Pietà o Addolorata e «sancti adiutores», di solito Rocco e Sebastiano, invocati contro la peste. Ernest Gombrich, storico dell’arte a livello mondiale, affiancò il lato della Pietà con l’arte romanica della chiesa di Gmünd in Germania dandole un riconoscimento internazionale che nessuna altra opera di pietà popolare della Lessinia ha potuto avere e Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle Culture di Lugano (Svizzera) l’aveva chiesta inutilmente per un’esposizione temporanea sul «Primitivismo nella scultura del XX secolo», realizzata con il Museo Nazionale Romano tre anni fa alle Terme di Diocleziano. Sono informazioni forse sconosciute agli stessi autori del trafugamento, gesto che a distanza di un anno resta ancora senza colpevoli, ma sopratutto senza il ritrovamento dell’opera che per la gente della Lessinia e parte fondante della sua storia e della sua cultura. I carabinieri di Badia Calavena, competenti per territorio, hanno aperto un’informativa e fatto delle indagini e che però non hanno ancora portato ai risultati sperati. Alessandro Anderloni, autore, regista e appassionato difensore della bellezza della sua Lessinia, ricorda sulla sua pagina Facebook il triste anniversario, con una storia di fantasia, in cui immagina la ricerca fra cent’anni di una giovane studentessa sulla «Scomparsa dell’arte popolare sacra dei Monti Lessini». L’autore si mette nei panni della ricercatrice, ansiosa di scoprire le ragioni del furto e magari anche una felice conclusione della vicenda, ma cita solo «qualche dichiarazione che le suonò di circostanza e qualche sparata che derubricò subito come provocazione di qualcuno che voleva solo mettersi in mostra… un irrilevante numero di così detti “post” con altrettanto irrilevanti “commenti». Si aspettava di trovare i risultati delle indagini che certamente erano state aperte dalle autorità preposte (gli indizi e le tracce da seguire c’erano, eccome), ma niente. Indagò allora sulle iniziative da parte delle associazioni culturali che un secolo prima si occupavano di cultura, lingua e tradizioni popolari, nulla. Allora sfogliò i file digitali di quelli che allora si chiamavano «libri» e «riviste» non trovò che qualche timida riga. Un convegno sull’argomento? Niente. Una tavola rotonda? Manco l’ombra. Sperava che almeno il film festival dedicato alla montagna che a quel tempo si svolgeva in presenza (cinema, teatri e festival in Italia sarebbero stati chiusi definitivamente al pubblico nel 2025 sostituiti dal «Netflix della cultura») si fosse dedicato a quella sparizione. Macché, silenzio totale. Com’era possibile?», si chiede Anderloni dando voce alla sua anonima ricercatrice, che poi collega il 2020 al Coronavirus. La conclusione della storia è amara: «La studentessa si perse allora a leggere gli articoli di quei giorni sulla chiusura delle piste da sci e su un a lei ignoto «Festival di Sanremo» che sarebbe iniziato di lì a poco senza pubblico in sala e capì che nel 2021 erano, giustamente, altre le priorità della società». V.Z.

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