<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

«Basta con le chiacchiere da bar»

Paolo Parricelli verifica il funzionamento di una «fototrappola»
Paolo Parricelli verifica il funzionamento di una «fototrappola»
Paolo Parricelli verifica il funzionamento di una «fototrappola»
Paolo Parricelli verifica il funzionamento di una «fototrappola»

La prima traccia del ritorno del lupo appare tra il 2009 e il 2010. Una capra uccisa e «consumata» forse da un predatore da più di un secolo non più presente in Lessinia. «Crediamo fosse già Giulietta», dice Fulvio Valbusa, vicecomandante della Forestale e responsabile della «Core Area 5» del progetto europeo Life WolfAlps.

Nel 2012 il ritrovamento di una seconda femmina morta (ferita e avvelenata) e il formarsi della «coppia alfa» tra la femmina dal nome shakespeariano e il forestiero Slavc, venuto dalla Slovenia con un trasmettitore «Gps» al collo. Un lungo viaggio di cui l’università di Lubjana tiene traccia. Il resto è storia: cucciolate, espansione del branco, esemplari in dispersione e soprattutto aumento esponenziale delle predazioni sul bestiame libero, come da tradizione, sui pascoli d’alpeggio.

La polemica era e resta rovente. Tra verifiche dei danni, pratiche di risarcimento (garantite dalla Regione), estensione della rete di monitoraggio della specie, attività di informazione («Tante in provincia e fuori, poche però qui da noi in Lessinia») la «questione lupo» sembra un nodo impossibile da sciogliere, uno scontro di mentalità. «È vero, è un problema. E come tale va gestito, anche con un cambio di atteggiamento, anche se capisco che non sia facile mutare metodi di allevamento e tradizioni. Però nessuno li ha portati qui i lupi... sono arrivati in inverno, non certo per le manze al pascolo. Forse è ora di lasciare perdere le chiacchiere da bar, fidarsi delle istituzioni e scegliere di informarsi e capire, per migliorare», spiega Valbusa.

I dieci recinti elettrificati installati «al volo» durante l’estate hanno funzionato: stop agli attacchi. «Potrebbe rivelarsi il metodo migliore. Per noi garantire la presenza e la disponibilità costante alla nostra gente», continua, «è comunque un servizio, un dovere che non ci porta benefici ma aggravio di lavoro. Ci mettiamo l’esperienza e, certo, anche la passione, perché siamo di fronte a un fenomeno inarrestabile ed eccezionale, la ricolonizzazione delle Alpi da parte del lupo. Un problema per alcuni aspetti ma anche il segno che il nostro ambiente sta bene».

Oltre la polemica c’è il lavoro sul campo. Parricelli: «Significa raccogliere dati, elementi per rendere chiara una presenza e nello stesso tempo fornire strumenti utili per limitare i danni e trovare una formula possibile di “convivenza“». Significa anche seguire per chilometri le piste nella neve d’inverno, quando le orme sono evidenti, tracciare linee sulle mappe per valutare l’area di movimento del branco, aggiornare la sua consistenza, inviare masse di dati ai laboratori e sbrigare pratiche di risarcimento.

Odiato e amato. Il lupo divide. «WolfAlps» è tuttora una parola sconcia in gran parte della Lessinia. Ma il predatore porta anche un richiamo turistico aggiuntivo, lo provano le adesioni alle gite organizzate «sulle tracce». Alla politica regionale spetta di garantire dotazioni, copertura dei danni e informazione, recuperando il tempo perso inseguendo facili consensi. Il lupo c’è e non se ne andrà.P.M.

Suggerimenti