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allarme siccità

Lessinia, addio neve. A rischio le riserve idriche

Caldo e scarse precipitazioni anticipano il fenomeno. E la prossima estate si teme per l’alpeggio. Varalta: «Andrebbero moltiplicati i bacini di raccolta». Campedelli: «Va ripensato tutto il piano di approvvigionamento idrico dell’area»
San Giorgio, ormai il paesaggio è più bruno di terra che bianco di neve. E a Bocca di Selva spuntano i primi fiori (Pecora)
San Giorgio, ormai il paesaggio è più bruno di terra che bianco di neve. E a Bocca di Selva spuntano i primi fiori (Pecora)
San Giorgio, ormai il paesaggio è più bruno di terra che bianco di neve. E a Bocca di Selva spuntano i primi fiori (Pecora)
San Giorgio, ormai il paesaggio è più bruno di terra che bianco di neve. E a Bocca di Selva spuntano i primi fiori (Pecora)

L’alta Lessinia è ormai un paesaggio più bruno di terra che bianco di neve. Un febbraio troppo caldo si è «mangiato» in anticipo larga parte del manto candido. E nonostante l’attività del Centro fondo, a Malga San Giorgio, prosegua - grazie a piste super curate - «su molti percorsi pedonali si può fare a meno di sci o ciaspole. Sul monte Tomba si sale tranquillamente a piedi», spiega Elio Venturelli, responsabile del comprensorio sciistico.

Il bacino artificiale di San Giorgio

Il segno dei tempi è il bacino artificiale di San Giorgio, costruito originariamente per l’innevamento artificiale degli ex impianti sciistici, ma servito, nell’ultimo decennio e oltre, quasi esclusivamente per prelevare, in estate, l’acqua accumulata durante i mesi precedenti. E dare così sollievo al bestiame della Lessinia.

È successo l’anno scorso, durante i mesi torridi che hanno asciugato le pozze degli alpeggi, oltre a lasciare a secco alcune contrade più alte, come pure in precedenti annate secche. Il problema è che il fenomeno della siccità non è più una tantum, ma ha assunto carattere cronico. In particolare in un territorio, com’è quello lessinico, in cui la natura carsica del suolo impedisce all’acqua piovana, o derivante dallo scioglimento della neve, di accumularsi in superficie o a profondità raggiungibili.

I dati Arpav

Il centro di Arabba rileva un quadro meno grave rispetto a tutto l’arco Alpino per le nevicate in questo inverno: il deficit stimato è di un -30% di neve fresca tra ottobre e febbraio rispetto alla media del trentennio 1991 - 2020, in termini assoluti circa un metro di neve in meno. Il colpo finale lo stanno dando le temperature: la prima decade di febbraio è stata la seconda più calda dal 1990.

Per le Prealpi (Lessini e altopiano di Asiago) il deficit della neve è del 15% rispetto alla media, per un accumulo inferiore di circa 30 centimetri. Ma l’emergenza rimane. Ecco perché, per quanto riguarda le utenze domestiche, l’altopiano veronese viene approvvigionato in larga parte con l’acqua di falda pompata dalla pianura: sia dalla città sia dalla Valdadige, tramite condutture che salgono in montagna attraverso Peri. E si parla di sostenere in futuro la Lessinia centro-orientale con un ulteriore apporto dalla zona di Montorio.

Se le utenze domestiche ancora si «salvano», l’urgenza esiste già per gli allevamenti e gli alpeggi. Le svariate decine di malghe sparse su tutto l’altipiano (sono 25 solo nel territorio di Erbezzo; 54 in quello di Bosco) si popolano, in estate, di alcune migliaia di capi di bestiame. Bestiame che, tradizionalmente, ha sempre trovato da bere e ristoro nelle tipiche pozze d’acqua piovana: la scorsa estate, però, erano asciutte e salvifico è stato, a quel punto, il prelievo dal bacino artificiale di Malga San Giorgio.

Utenze domestiche

«Se ci aspettano una primavera e un’estate nuovamente senza precipitazioni, sconteremo doppiamente quest’inverno con poca neve e la siccità pregressa», commenta Mario Varalta, sindaco di Velo, dove si trova la sorgente più grossa della Lessinia, anch’essa intaccata dai lunghi periodi siccitosi.

«Il problema è che in estate, complice l’aumento sensibile della popolazione in montagna, l’acqua potabile è insufficiente. Ovvero, la questione non è solo estendere la rete idrica fino alle zone più decentrate; ma la scarsità di materia prima». La soluzione? «Una, ma costosa, potrebbe consistere nel moltiplicare i bacini di raccolta. Ma si deve partire da una gestione più oculata dell’acqua da parte di tutti».

«È chiaro», afferma Lucio Campedelli, sindaco di Erbezzo, «che sarà necessario ripensare tutto il piano di approvvigionamento idrico in Lessinia per stoccare il più possibile l’acqua piovana. La neve caduta quest’inverno è del tutto insufficiente come riserva per l’estate, per riempire le pozze e favorire a vasto raggio la ricrescita del pascolo. Enti locali, Regione e Stato devono lavorare insieme su questo problema».

«Con Acque Veronesi», aggiunge, «è in corso una progettualità a medio termine per portare la rete idrica verso le contrade più decentrate. Nel frattempo, speriamo che si decida a piovere». Claudio Melotti, sindaco di Bosco Chiesanuova, spiega: «Le utenze domestiche sono alimentate da acqua di falda proveniente dalla pianura. Ecco perché l’estate scorsa, pur in crisi idrica, in Lessinia non abbiamo sofferto. Per alleviare i prelievi dall’acquedotto, stiamo ripristinando alcune vecchie sorgenti, come nella nostra contrada Zamberlini: non si tratta di acqua potabile, ma dà comunque un aiuto».

L’alpeggio

«Ad oggi ci preoccupa di più», prosegue, «la situazione dell’alpeggio. Tant’è che, insieme a Erbezzo e a Sant’Anna d’Alfaedo, abbiamo predisposto un progetto del valore di 7,5 milioni di euro, in partenza in maggio, per portare l’acqua a un numero significativo di malghe, posando 22 chilometri di condotte».

E da Sant’Anna, il sindaco Raffaello Campostrini dichiara: «Da anni si cerca di limitare gli sprechi. Noi», evidenzia, «per quanto riguarda l’acqua potabile, abbiamo messo a disposizione un milione di euro, proveniente dal Fondo dei comuni confinanti, girandolo ad Acque Veronesi, affinché si investa nella rete idrica».

«In particolare», aggiunge Campostrini, «quel milione è andato a cofinanziare il progetto, quasi concluso, per il potenziamento della linea che dal campo pozzi di Peri spinge l’acqua potabile fino a Fosse, nel vascone a 900 metri, da cui pescano Sant’Anna, Erbezzo e in parte le frazioni più alte di Fumane e Marano. Chiaro che, come facevano i nostri nonni, sarebbe il caso di recuperare tutte quelle sorgenti e fonti del territorio, anche di piccola portata, che sarebbero la goccia capillare per sgravare per diversi mesi l’acquedotto da funzioni prettamente agricole e di allevamento».

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Lorenza Costantino

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