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«Molti pazienti hanno sintomi di danni da Pfas»

La protesta contro il pericolo dei Pfas il mese scorso è arrivata anche a Roma
La protesta contro il pericolo dei Pfas il mese scorso è arrivata anche a Roma
La protesta contro il pericolo dei Pfas il mese scorso è arrivata anche a Roma
La protesta contro il pericolo dei Pfas il mese scorso è arrivata anche a Roma

I dati reali sullo stato di salute della popolazione esposta alla contaminazione da Pfas sono peggiori di quelli contenuti nelle relazioni ufficiali». Lo afferma Elisa Dalla Benetta, medico di base che vive e lavora a Zimella, dove segue circa 1.200 pazienti. Nell’ambito di un convegno organizzato da Isde medici per l’ambiente e amministrazione comunale, che si è svolto ieri mattina a Legnago, la dottoressa ha infatti offerto un quadro sicuramente più inquietante di quello, comunque ben poco rassicurante, contenuto dei rapporti della Regione. «Fra i miei assistiti, il 50 per cento ha un valore altissimo di ferritina, che è indice di infiammazioni croniche, inoltre ci sono molti più casi della media per quanto riguarda Alzheimer, disturbi specifici dell’apprendimento, infarti, ictus e casi di pubertà precoce», ha elencato Dalla Benetta. «Quanto poi ai tumori che in letteratura sono correlabili all’assorbimento di Pfas, ci sono valori molto più elevati dei parametri di riferimento di cancri del rene, addirittura persino in marito e moglie, e di quelli del testicolo; normalmente per quest’ultimo l’incidenza è di uno ogni centomila abitanti, qui è di uno ogni seicento, dal momento che ho due pazienti con questa patologia su 1.200 assistiti». E non è tutto. La dottoressa ha anche spiegato che, dopo essersi resa conto che c’erano troppi aborti spontanei, ha deciso di trattare tutte le donne in gravidanza come ipertese. «Come fanno a Parigi», ha precisato. In questo modo, ha spiegato, finora è riuscita a bloccare questo fenomeno. Dalla Benetta ha denunciato anche il fatto che la Regione, dopo aver visto i primi risultati delle analisi, ha innalzato a dismisura il limite di riferimento per la microalbuminuria, elemento che è indice di cattivo funzionamento dei reni. «La cosa chiara è che non siamo in una situazione di prevenzione primaria, nella quale possiamo aspettarci lo sviluppo di alcune patologie», ha sottolineato il medico di medicina di famiglia, «qui registriamo già patologie metaboliche, infiammatorie e neoplastiche. La dottoressa precisa che si è confrontata con vari e importanti ricercatori universitari, che hanno confermato punto per punto i suoi dati e le sue osservazioni. «I medici di medicina generale hanno molti dati, ma nessuno glieli chiede e non è giusto attendere 10 anni per avere i risultati dello screening, quando è già possibile avviare varie azioni», ha affermato il medico di Zimella. Elisa Dalla Benetta si augura che la medicina generale dia avvio a un proprio studio, magari cercandosi degli sponsor, e che vengano anche adottate misure più efficaci nelle strategie di comunicazione ai cittadini dei reali rischi connessi all’esposizione ai Pfas. Proprio per quanto riguarda le analisi a tappeto sullo stato di salute della popolazione promosse dalla Regione Veneto, ieri il direttore del servizio di prevenzione dell’ Ulss 9 Scaligera Luciano Marchiori ha anticipato che con il mese di maggio gli ambulatori di Legnago e di San Bonifacio inizieranno a lavorare a pieno regime, analizzando 40 persone ogni giorno, e che a giugno verrà messo in funzione anche nel Veronese il servizio medico di secondo livello. Si tratta cioè di una struttura specialistica che prende in carico le persone con elevati livelli di Pfas nel sangue e che abbiano sviluppato patologie correlabili a tale situazione. «La scorsa settimana è arrivata l’autorizzazione ad assumere un medico che si occuperà di questo servizio, per cui ora stiamo programmando la sua entrata in funzione, che dovrebbe avvenire da subito a San Bonifacio per poi essere estesa in breve tempo anche a Legnago», ha spiegato Marchiori. Dal punto di vista ambientale, invece, l’incontro legnaghese ha visto il rappresentante dell’Istituto superiore di sanità, Mauro Cerroni, confermare che «un’azione di bonifica della falda inquinata risulterebbe inefficace» e che da questo punto di vista l’unica cosa da fare è quella di lasciare che l’inquinamento si diluisca, allargandosi nello spazio e nel tempo. Inoltre la consulente ambientale Marina Lecis ha sottolineato: «Dopo quattro anni, rimane ancora da risolvere il problema dei pozzi privati, specialmente quelli posti al di fuori della zona rossa: le analisi di quell’acqua dovrebbero essere pagate da chi è responsabile dell’inquinamento». •

Luca Fiorin

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