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San Giovanni Lupatoto

Anziano vittima di estorsione: «Generoso per mesi e poi mi ha ricattato»

Il cortile del tribunale, sede di un nuovo processo per tentata estorsione tra un anziano di 80 anni e una donna oggi sessantacinquenne
Il cortile del tribunale, sede di un nuovo processo per tentata estorsione tra un anziano di 80 anni e una donna oggi sessantacinquenne
Il cortile del tribunale, sede di un nuovo processo per tentata estorsione tra un anziano di 80 anni e una donna oggi sessantacinquenne
Il cortile del tribunale, sede di un nuovo processo per tentata estorsione tra un anziano di 80 anni e una donna oggi sessantacinquenne

«Quando ho aperto il frigo in casa sua, ho visto che era vuoto, non c’era nemmeno una bottiglia d’acqua». L’ottantenne parla in aula rivolto al giudice Sabrina Miceli a voce alta, muovendo le mani in continuazione, senza però, mai staccarsi dallo schienale della sedia di testimone. È agitato, si capisce, è molto coinvolto emotivamente nel racconto della sua storia che ruota tra romanticismo, generosità e anche delusione, tanta delusione.

 

La sua storia sa d’amaro. L’anziano è lì in quell’aula al secondo piano del tribunale perché si è costituito parte civile con il suo legale, Simone Mondini. Nelle carte dell’accusa, viene descritto come la vittima di molestie, reato già prescritto e una tentata estorsione, anche questa accusa presto sulla via del tramonto giudiziario.

 

A rovinargli la vita per tre mesi nel 2014, una donna di quindici anni più giovane di lui, S., difesa da Anna Lotto: gli ha chiesto tremila euro, mai consegnati, per non raccontare alla moglie della loro relazione. Lei non è presente in aula ma i suoi modi, i suoi atteggiamenti di quel periodo risalente a sette anni fa, emergono dal racconto dell’ottantenne. Lui non si aspettava una reazione, alla sua generosità così implacabile della sua ex amica, perché lui la definisce sempre così nella sua deposizione.

 

Non ha mai perdonato quella donna neanche quando il maresciallo della stazione alle porte di Verona, come ha riferito il militare dell’Arma in aula, gli ha chiesto se era disponibile ad una riconciliazione. Niente da fare: si è rifiutato e ha chiesto di mantenere le accuse a carico della signora. Voleva arrivare fino al processo e ora vuole la condanna.

 

Lui ha aiutato fin da subito quella donna come esordisce nella sua deposizione una volta sedutosi sul banco dei testimoni. «L’ho vista la prima volta in un bar di San Giovanni Lupatoto (oggi chiuso, ndr) a fine estate del 2014», ha detto l’ottantenne. È un infortunio ad unire il destino dei due avventori abituali di quel bar: l’allora cinquantanovenne cade mentre sta uscendo dal bar.

 

Si fa male ad un piede, non riesce più a camminare. Mario (nome di fantasia) si propone di accompagnarla a casa in auto. Fa così la sua conoscenza. Da quel momento, gli si apre un mondo. Lei si sfoga subito, è triste, è disfatta per quella vita in cui la fortuna sembra averle mostrato le spalle, racconta sostanzialmente l’ottantenne in aula. Ho il marito che sta morendo, attacca la donna. Ricevo una pensione sociale, insiste, ma mi basta solo per pagare l’affitto di casa. Non so come fare per il mangiare e per le altre spese. Lui ascolta mentre accompagna la donna fino a casa. Poi sale con lei fino al suo alloggio. Le apre il frigo, forse per darle un bicchiere d’acqua. Si accorge però, che lì non c’è nulla, nemmeno una bottiglia d’acqua. Si impietosisce subito. Capisce che deve aiutarla.

 

Quelle parole appena ascoltate dalla donna, pensa, non sono campate per aria. Mario non ha problemi economici. Ha una piccola impresa laboratorio, in gestione con il figlio. Ha risorse economiche sufficienti, quindi per aiutare quella cinquantanovenne in difficoltà. Da quel giorno di fine estate, la sua vita cambia. Inizia a contribuire alle piccole spese della donna.

 

«Duecento euro al mese», ha detto ancora l’anziano in aula, vestito con la camicia a quadri, jeans e scarpe sportive. E al bar, Mario aveva dato istruzione al titolare di non far pagare niente alla signora.

 

«Beveva molto», ha detto più volte ancora l’ottantenne in aula. E acquistava le sigarette. Tutte spese rimborsate puntualmente dal suo nuovo amico. La relazione prosegue. Si incontrano al bar e poi lui l’accompagna a casa. Era solo un’amicizia niente di più, ci tiene a precisare l’anziano in aula davanti al giudice Sabrina Miceli, rispondendo alle domande del pm in aula, Nicola Marchiori e dei legali. Dopo alcuni mesi, però, c’è la svolta nella relazione tra i due amici.

 

Il fulmine piomba nella vita di Mario nelle forme di un sms dal tono perentorio: «Dammi tremila euro», scrive la donna al suo amico, «altrimenti racconto tutto a tua moglie». A Mario crolla il mondo addosso. Non crede ai suoi occhi. Una richiesta assurda, pensa, dopo tutti i soldi che le ho già dato (anche se in aula non è stato in grado di quantificarli esattamente). Mostra il messaggio al titolare del bar. La richiesta di soldi della donna diventa nota, racconta ancora in aula, lo sanno tutti gli habitué di quell’esercizio a due passi dal centro di San Giovanni Lupatoto (Verona) che ora non c’è più.

 

Ma Mario resiste, non piega la testa e decide subito la sua strategia: chiusura su tutto il fronte. Nessuna risposta alle insistenti telefonate della donna dopo la richiesta di danaro. Cambia il numero di cellulare. Nessun riscontro anche alle chiamate che la donna inizia a fare a casa di Mario. «Telefonava anche di notte e rispondeva mio figlio», ha detto in aula. La strada è una sola: la denuncia ai carabinieri e poi forse la condanna di quella donna che lui considera irriconoscente dopo tutto quello che ha fatto per lei. A fine aprile, toccherà all’imputata raccontare la sua verità al giudice. Poi la sentenza anche se in parte, per l’accusa di molestie al telefono, è già decisa. Prescritta. Per la tentata estorsione, la sentenza sarà, invece, sul merito. •

Giampaolo Chavan

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