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I primi esposti contro Lyoness Chiesti rimborsi per 2 milioni

L’Agenzia garante per la concorrenza e il mercato ha censurato l’attività della società veronese
L’Agenzia garante per la concorrenza e il mercato ha censurato l’attività della società veronese
L’Agenzia garante per la concorrenza e il mercato ha censurato l’attività della società veronese
L’Agenzia garante per la concorrenza e il mercato ha censurato l’attività della società veronese

Una serie di iniziative legali è stata avviata contro Lyoness Italia, la srl con sede a San Martino Buon Albergo che è conosciuta anche come la «comunità per lo shopping». Si tratta di una realtà che ha importato in Italia un modello di reclutamento di tesserati, già attivo in altri paesi, basato sulla possibilità di ottenere sconti su acquisti in aziende convenzionate ma, soprattutto, sul continuo reclutamento del numero degli aderenti a questa comunità di shopping. Questa attività aveva portato nel 2017 la Lyoness a realizzare un fatturato di 53 milioni di euro in Italia e a contare su 1.368.000 tesserati e 15.000 aziende convenzionate. Duecentoquarantuno persone da tutta Italia, aderenti alla proposta di Lyoness Italia, si sono rivolte qualche tempo fa allo studio legale 3A-Valore di Mestre, con lo scopo di recuperare somme per un totale di 1.815.000 euro, investite da chi ha aderito al progetto della società di San Martino Buon Albergo, avviando così una class action. In questi giorni sono stati presentati i primi esposti nei comandi della Guardia di finanza di Bologna, Torino e Corsico, in provincia di Milano e sono attesi altre iniziative legali. A Verona, è arrivata anche la prima citazione a giudizio. «Si tratta di un’azione risarcitoria rivolta sia nei confronti di Lyoness Italia che della sua casa madre, in Svizzera», spiega l'avvocato Franco Portento di Padova, che segue questa vicenda per conto di 3A. Tutto parte, riporta una nota dello studio legale di Mestre, dal provvedimento dell’Autorità del garante per la concorrenza (Agcm) risalente al gennaio scorso che ha inflitto una sanzione di 3,2 milioni alla società. In quella decisione, viene evidenziato come «il sistema di promozione utilizzato per diffondere fra i consumatori una formula di acquisto di beni con cashback (ovvero con la restituzione di una percentuale del denaro speso con gli esercenti convenzionati) è scorretto». Questo metodo, sostengono i garanti del commercio, «integra un sistema dalle caratteristiche piramidali, fattispecie annoverata dal Codice del Consumo tra le pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli». E cosa si intende per sistema piramidale? «In pratica», riporta ancora il comunicato dello studio legale, «il cosiddetto Schema Ponzi permette ai primi che iniziano la catena di ottenere elevati ritorni economici ma impone ai successivi subentrati di coinvolgere altre persone o investire sempre maggiori somme di danaro per avere un effettivo riscontro. Il risultato, infatti, è che i guadagni degli affiliati derivano quasi esclusivamente dalle quote pagate dai nuovi investitori o dagli stessi affiliati e non da attività produttive». Una sorta di organizzazione verticistica nella quale chi guadagna è solo chi sta in cima alla catena di tesserati: «Un tale sistema», prosegue il comunicato, «è fisiologicamente destinato a non remunerare la stragrande maggioranza degli aderenti: dall’istruttoria è emerso che i soggetti che sono riusciti a conseguire posizioni rilevanti nel sistema corrispondono allo 0,04%, solo 31 Lyconet su 67.016 operanti in Italia». L’esito di questi investimenti non è certo dei più soddisfacenti: «La conseguenza», si conclude la nota, «è che ci sono migliaia di persone che hanno investito parecchi soldi, mediamente alcune migliaia di euro, ma in alcuni casi anche decine di migliaia, ma non hanno recuperato se non in minima parte l’investimento, senza contare che spesso hanno coinvolto familiari, parenti e amici». •

Luca Fiorin

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