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«Ho una malattia rara Ma sull’Adige ho fatto una grande impresa»

Antonio Fanin: 22 anni fa ha scoperto di essere affetto da una rara malattiaAntonio Fanin e Graziano Bonoldi che l’ha accompagnato nell’avventuraLe tende  piantate da Antonio e Graziano sulle sponde dell’Adige a ogni tappa
Antonio Fanin: 22 anni fa ha scoperto di essere affetto da una rara malattiaAntonio Fanin e Graziano Bonoldi che l’ha accompagnato nell’avventuraLe tende piantate da Antonio e Graziano sulle sponde dell’Adige a ogni tappa
Antonio Fanin: 22 anni fa ha scoperto di essere affetto da una rara malattiaAntonio Fanin e Graziano Bonoldi che l’ha accompagnato nell’avventuraLe tende  piantate da Antonio e Graziano sulle sponde dell’Adige a ogni tappa
Antonio Fanin: 22 anni fa ha scoperto di essere affetto da una rara malattiaAntonio Fanin e Graziano Bonoldi che l’ha accompagnato nell’avventuraLe tende piantate da Antonio e Graziano sulle sponde dell’Adige a ogni tappa

«Quando ho visto davanti a me il mare, mi è sembrato di entrare in Paradiso. L’azzurro e il rosso del cielo al tramonto si riflettevano nell’acqua. I gabbiani volavano intorno a noi. Era come stare dentro a una bolla e, dopo quei cento e più chilometri passati a pagaiare, ho avvertito una carica di vita pazzesca». Antonio Fanin ha 50 anni e quasi metà della sua vita l’ha trascorsa con una malattia rara: neuropatia motoria multifocale a blocchi di conduzioni, questa la diagnosi fatta dopo alcuni anni trascorsi a fare da spola da un ospedale all’altro, nel tentativo di capire perché non riusciva a stendere le dita delle mani. «Ci sono migliaia di persone, solo in Italia, che soffrono di una malattia rara», sottolinea Antonio, «patologie che spesso non si vedono, con la conseguenza che sembriamo ‘sani’ agli occhi di chi ci guarda da fuori. Dentro invece, stiamo combattendo una battaglia. Ecco perché, i primi giorni di giugno, ho deciso di fare questa impresa: partire da San Giovanni Lupatoto, dove abito, e con il kayak seguire l’Adige fino a quando il fiume incontra il mare. E così dimostrare che anche chi non è straordinario, come me, può fare qualcosa di non ordinario. Che anche chi non ha dei super poteri, anzi magari ogni giorno deve fare i conti con dei limiti, può compiere imprese meravigliose». Antonio la sua battaglia l’ha iniziata a 28 anni. «Mi ero reso conto che faticavo a cambiare le stazioni dell’autoradio», racconta, «non riuscivo a stendere le dita e quindi a premere il tasto». La prima diagnosi è stata sindrome del tunnel carpale. «Dovevo operarmi a Peschiera», ricorda, «ma per fortuna mi sottoposero prima a un esame, l’elettromiografia, dal quale si capì che dietro quel mio problema c’era qualcosa di più serio». La malattia venne identificata: le prospettive erano drammatiche perché la neuropatia motoria, degenerando, provoca la distruzione dei nervi periferici degli arti. «A quell’epoca meno di un centinaio di persone in Italia ne soffriva», ricorda Antonio, che iniziò un calvario di accertamenti, diagnosi, terapie, all’inizio sperimentali perché si trattava di capire il perfetto equilibrio tra farmaci, dosaggi, tempistiche. E intanto la malattia degenerava, «non riuscivo a tenere in mano un bicchiere, avevo continuamente crampi, le forze mi abbandonavano pian piano, ero molto spaventato. Vedevo altre persone che soffrivano della mia patologia stare male, alcune erano sulla sedia a rotelle. E avevo paura». Dosi massicce di immunoglobuline, tre volte a settimana. Questa la terapia individuata dai medici di Borgo Roma, che ha permesso di bloccare la malattia di Antonio. Non di eliminarla, ma di evitare che potesse degenerare. «È stata la luce in fondo al tunnel. Ho recuperato le forze», ricorda, «e anche una certa stabilità. Ora guido, sono autonomo. Ho un lavoro in banca, tre figlie e una vita ricca. Perfetta, se vista dall’esterno. Ma se qualcuno mi guarda bene vede che fatico a compiere diversi movimenti. E poi c’è dell’altro». Ed è a livello psicologico. «Sai che puoi cadere da un momento all’altro, che la malattia può peggiorare e la terapia non funzionare più. Si guarda la vita in modo diverso, tutto assume un sapore differente». È nata così l’idea dell’impresa sull’Adige, da San Giovanni Lupatoto alla foce, a Rosolina, pagaiando su Itaca, il suo kayak. «Sapevo che da solo non sarei riuscito», ammette Antonio, «la mia malattia mi pone dei limiti. Allora ho chiesto al mio migliore amico, Graziano Bonoldi, che ha subito accettato la sfida». Nessuno dei due era mai salito su un kayak, né campeggiato in tenda la notte. Itaca è stata testata sulle acque del Garda, pochi giorni prima della partenza. «Quel mattino, attrezzati di cibo, acqua, fornelletto e salvagente, sapevamo di essere un po’ folli, ma eravamo felici. La magia della natura incontaminata, il silenzio interrotto solo dagli uccelli, il senso di pace di serenità li porteremo sempre con noi. Come l’emozionante arrivo al mare, con la luce del tramonto». Graziano è stato fondamentale, racconta Antonio, «spesso la stanchezza arrivava presto, per fortuna c’era lui. Quanta carica, quanta vita! Anche chi ha dei limiti, come me, può fare imprese fuori dall’ordinario». •.

Francesca Lorandi

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