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Gay si vuole sposare, buttato fuori

Due sposi gay in una foto che li ritrae nel giorno della loro unione
Due sposi gay in una foto che li ritrae nel giorno della loro unione
Due sposi gay in una foto che li ritrae nel giorno della loro unione
Due sposi gay in una foto che li ritrae nel giorno della loro unione

Stavano insieme da 15 anni e avevano deciso di legittimare la loro unione sposandosi. La data era stata fissata per i primi di dicembre e subito erano arrivate le felicitazioni degli amici più cari. Tranne quelle della famiglia di uno dei due. Perché a unirsi non erano un lui e una lei, ma due uomini dichiaratamente omosessuali, veronesi, rispettivamente di 59 e 48 anni. «La reazione della mia famiglia è stata violenta e severa perché teme il giudizio della gente». «Non teme però di perdere l’affetto di un figlio. Sono gay da quando ero adolescente, ho visto mio padre piangere quando se ne accorse, ma abbiamo tirato avanti per decenni in qualche modo. Il matrimonio è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso del loro perbenismo», racconta Luca, uno dei due protagonisti di questa vicenda che è stato letteralmente buttato fuori casa e ha così deciso di infilare la porta di uno studio legale. A fine settembre l’avvocato Matteo Tirozzi ha inviato una diffida ai parenti di Luca e Matteo, nomi di fantasia che nulla tolgono alla verità dei fatti. Il legale ha intimato ai famigliari di non offendere il proprio congiunto e di aprirgli la porta di casa. «Nemmeno il doppio intervento delle Forze dell’ordine», scrive il legale, «è risultato risolutivo, tanto che il mio assistito è stato costretto a trascorrere tutta la notte nel plateatico della villa nella speranza vana di poter prima o poi entrare…». A nulla sono valsi gli inviti dell’avvocato «a voler immediatamente cessare la vostra linea di condotta e a permettere al mio assistito l’accesso all’immobile». La tensione, invece che attenuarsi, si è acuita. Tanto che sono seguiti altri episodi di violenza e minacce da parte di uno dei fratelli di Luca. Frasi come «se sposi quell’uomo, ti ammazzo», puntualmente riportate nella denuncia alla Procura della Repubblica del 29 settembre. Ad accrescere il rancore ha contribuito il fatto che il cinquantanovenne Luca, appartenente a una facoltosa famiglia di imprenditori, dopo un grave incidente capitato al suo compagno Matteo, di nazionalità polacca ma da anni trapiantato nella nostra provincia, aveva consegnato a quest’ultimo le chiavi di un appartamento di famiglia in Trentino, per trascorrervi la convalescenza. «Il fratello minore del mio assistito», racconta l’avvocato Tirozzi, «gli ha urlato che se il suo compagno Matteo non se ne fosse andato dalla casa di montagna, avrebbe avuto di che pentirsene». Ma c’è di più. «Mio fratello», racconta Luca ancora molto scosso, «ha cercato addirittura di investirmi con un furgone che usiamo in azienda per le consegne dei nostri prodotti». E aggiunge: «Ho cercato riparo dietro a una colonna. Credevo che la sua rabbia fosse sbollita e solo a quel punto ho iniziato a camminare nel cortile mentre lui, mio fratello, vedendomi allo scoperto, ha ingranato la retromarcia del furgone cercando di travolgermi. Tanto che io, molto spaventato, ho iniziato a cercare un nuovo riparo e sono caduto per terra. Solo a quel punto mio fratello ha desistito e se n’è andato, naturalmente senza neppure soccorrermi». Tornato a casa per prendere il tesserino sanitario e con quello raggiungere il Pronto soccorso e farsi medicare, Luca è stato nuovamente aggredito. «Mia cognata ha istigato mio fratello a picchiarmi dicendo che la mia vita era finita e che mi avrebbero rinchiuso in manicomio». Solo l’intervento di due pattuglie dei carabinieri ha sedato una tensione che poteva degenerare pericolosamente. Gli episodi sono stati segnalati anche ad alcuni dipendenti della ditta di famiglia e ad altri parenti, ai quali Luca ha chiesto aiuto in caso di nuovi episodi di aggressione. «È una situazione penosa che continua da anni, sfociata in questi giorni in gravissimi episodi di minacce e violenze, ma che covava da lungo tempo», sottolinea l’avvocato Matteo Tirozzi. E precisa: «L’ingenuità del mio cliente lo ha portato ad accettare la riduzione di partecipazione alle quote sociali di utili aziendali fino a scendere a un modesto quattro per cento». Chissà se in quella firma davanti al notaio, siglata anni fa e che riduceva pesantemente i suoi guadagni, non c’era anche un tentativo di farsi accettare da una famiglia che lo voleva escludere per la sua omosessualità. «Vivo da più di trent’anni in una situazione precaria, dove gli affetti familiari sono stati recisi come fiori appassiti perché la mia storia viene vissuta con disonore, pregiudizio, rancore. Spero non debba succedere ad altri», racconta Luca, che pochi giorni fa ha dovuto ingoiare un altro boccone amaro: «Dovevo sottopormi ad alcuni accertamenti medici al Policlinico di Borgo Roma e avevo bisogno di andare con l’auto, ma i miei famigliari mi hanno sequestrato anche le chiavi e ho dovuto noleggiare una Panda e con quella recarmi all’ospedale». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Danilo Castellarin

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