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La storia

Chéchi, l’ombrellaio anarchico che si fece saltare in aria in piazza a Pescantina

Ignoti i motivi del suo gesto, ma si dice che abbia preferito suicidarsi che compiere un attentato
Ca’ del Comun e il muretto del Chéchi, Ferdinando Aprile, che si suicidò a 25 anni
Ca’ del Comun e il muretto del Chéchi, Ferdinando Aprile, che si suicidò a 25 anni
Ca’ del Comun e il muretto del Chéchi, Ferdinando Aprile, che si suicidò a 25 anni
Ca’ del Comun e il muretto del Chéchi, Ferdinando Aprile, che si suicidò a 25 anni

In una dolce notte di maggio del 1922, un boato improvviso ridestò dal sonno gli abitanti di piazza San Rocco, a Pescantina. Tutti accorsero per vedere, per sapere. In breve un nome corse di bocca in bocca: «El Chéchi…, el Chéchi…». Era accaduto qualcosa di inaudito, un fatto di cui si parlò a lungo e che lasciò un segno, uno squarcio profondo nel muretto che costeggia la piazza, dalla parte del fiume: un giovane anarchico si era fatto esplodere di fronte al dilemma tragico di spargere sangue innocente.

 

Chi era el Chéchi

Si chiamava Ferdinando Aprile e aveva 25 anni, bracciante (come si legge nel verbale del registro comunale dei morti, alla data del 10 maggio 1922) e, dato che era il mestiere del padre, anche ombrellaio. Abitava con i genitori Francesco e Calabrese Maria Regina e faceva come tutti i ragazzi della sua età, vita di paese. Ma sicuramente, il mestiere di ombrellaio e di bracciante l'avrà portato in contatto con ambienti diversi girando per fiere e mercati e in città, dove, secondo la memoria collettiva che ancora si conserva, entrò a far parte di un gruppo di anarchici. Gli anni della sua breve vita trascorsero in questo modo, fra lavoro, accese discussioni, serate al caffé.

 

Il quadro storico

Il quadro storico è quello degli anni che precedono e seguono la Prima guerra mondiale. Sullo sfondo l'eco di fatti clamorosi che chiudono il secolo, come il regicidio di Umberto I a Monza, messo in atto da Gaetano Bresci, l'anarchico che venne dall'America a vendicare i morti di Bava Beccaris del maggio 1898, a Milano, durante le rivolte per il pane. Il sogno anarchico di una società di liberi ed eguali e la suggestione di un progetto di abolizione rivoluzionaria dello Stato erano idee che sicuramente circolavano allora nel panorama sovreccitato del primo dopoguerra italiano, fra i risentimenti per la “vittoria mutilata”, gli slanci dannunziani e, all'orizzonte, la montante onda del fascismo, destinato ad affermarsi dopo la Marcia su Roma del 24 ottobre 1922. Anche Pescantina viveva un momento di difficoltà.

Erano ancora molti i disoccupati che si dovevano accontentare di lavorare saltuariamente a giornata. Questa è forse anche la ragione che sul verbale di morte, stilato dal segretario comunale Emilio Butturini, dal becchino Manara Gaetano, dal messo Cavattoni Sperandio e Montresor Francesco, il giovane Ferdinando Aprile è registrato come bracciante.

 

La morte del Céchi nel racconto d'epoca

Il luogo della morte è indicato “sulla pubblica piazza”. E forse, paradossalmente, mai definizione, apparentemente burocratica e generica, è stata più precisa e circostanziata per delimitare lo spazio di un evento così tragico. Del quale possiamo riscostruire minuziosamente i particolari grazie a un articolo apparso sull’Arena del 10 maggio del 1922. L'anonimo cronista, sotto il titolo «Strano e raccapricciante suicidio d'un giovane ombrellaio dilaniato in una esplosione di gelatina», si dilunga nei particolari di quella terribile esplosione che ridestò di soprassalto tutto il paese nel cuore della notte.

«Intorno al tragico fatto cha ha destato un'impressione profondissima, ci vengono forniti i seguenti dettagliati particolari. Verso le 1,30 della notte passata il paese fu destato da una detonazione fragorosa, formidabile. In brevissimo tempo la piazza di San Rocco, da cui era partita la detonazione, si trovò piena di gente spaventata, tra cui erano parecchie persone uscite dalla rispettive abitazioni, semi-vestite, per vedere che cosa di grave era avvenuto da far rintronare tutti i vetri delle case. Si poté constatare con raccapriccio che ovunque, per la piazza e sui muri, erano traccie di sangue, qua e là, al suolo, erano brandelli sanguinolenti di resti umani! Esaminati minutamente, dopo un breve periodo di sgomento, alcuni resti di indumenti furono presto riconosciuti per quelli appartenenti a un giovane ombrellaio del paese, certo Ferdinando Aprile, d'anni 25, ben noto anche in tutto il circondario. Scoperta stranissima che lì per lì non dava adito a una precisa supposizione». Il giovane era stato visto fino a due ore prima in un caffé del paese e nulla avrebbe fatto supporre quello che di lì a poco sarebbe accaduto.

Tornato a casa verso la mezzanotte, aveva scritto una lettera ai genitori e l'aveva lasciata sul tavolo in cucina prima di uscire definitivamente. Nella lettera il giovane chiedeva scusa alla madre aggiungendo che si suicidava per non aver raggiunto alla fine del ventincinquesimo anno di età la meta alla quale l'animo suo agognava. Meta che, del resto, volle sempre tenere segreta e che nessuno sarebbe mai riuscito a indovinare. Nella stessa lettera è descritto il modo del suicidio: il giovane anarchico si sarebbe avvolto strettamente attorno al torace diciotto tubi di gelatina e, seduto su di un muretto della piazza San Rocco, fumando una sigaretta, avrebbe dato fuoco alla miccia, volendo che il suo corpo si sperdesse in frantumi. Cosa che puntualmente avvenne.

 

Il macabro racconto

«Basta dire», commenta sgomento il cronista, «che la testa e il collo e parte d'una spalla furono trovati sul tetto della casa ove trovasi il Caffè Centrale, un braccio era in un gioco di bocce, ad oltre 40 metri, e brandelli vennero lanciati in vari altri punti per un raggio di cento metri. Tutti i muri delle case intorno erano chiazzati di sangue e fu necessario ricorrere alle pompe per far scomparire le pietose tracce. Per dire ancora della gravità della esplosione, basta accennare che il muretto, sul quale il suicida s'era posto a sedere, è in parte crollato».

I poveri resti furono raccolti in una cassetta e portati alla camera mortuaria del cimitero. Un ultimo particolare: la sera prima Ferdinando Aprile, detto "Chéchi" (forse diminutivo di Francesco) si era messo d'accordo con un amico per una gita da effettuare la domenica, in bicicletta, a Verona per assistere a una corsa. Così finì la breve vita dell'anarchico Ferdinando Aprile, che doveva compiere un attentato e preferì darsi una morte atroce piuttosto che fare del male ad altri. •.

Lino Cattabianchi

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