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Caduti e «strachi»
E Banterle scrisse
la storia su pietra

Autoritratto di Banterle. In alto, foto d’epoca di ponte Garibaldi
Autoritratto di Banterle. In alto, foto d’epoca di ponte Garibaldi
Autoritratto di Banterle. In alto, foto d’epoca di ponte Garibaldi
Autoritratto di Banterle. In alto, foto d’epoca di ponte Garibaldi

È stato lo scultore italiano più importante nella prima metà del Novecento, padre di monumenti funebri solenni e autore di sorprendenti gruppi scultorei per i monumenti ai caduti, ancor oggi ammirati, per la plasticità e la veridicità delle forme anatomiche.

Quasi 50 anni fa, il 30 luglio del 1968, moriva a Gombion di Belfiore lo scultore Ruperto Banterle, nella residenza di famiglia, Ca' Tantini. Visse tra Verona, Milano e Belfiore, sua dimora di campagna. Nato a Verona, il 19 luglio del 1889, Ruperto conseguì il diploma all’accademia di Belle Arti di Genova. Subito dopo, si trasferì a Parigi, dove conobbe e studiò le principali tendenze artistiche.

Ammirò in particolar modo Auguste Rodin, Medardo Rosso, Georges Minne, Constantin Meunier, Aristide Maillol e Emile-Antoine Bourdelle. Dopo aver partecipato alla guerra di Libia, fece ritorno a Verona. Qui ottenne numerose commissioni, come quella che gli permise, nel 1914, di dar vita alla sua prima opera notevole: il monumento funebre alla famiglia Fiumi, nel cimitero Monumentale di Verona, alla morte della madre dell’amico scrittore Lionello Fiumi.

Pur ottenendo immediati riconoscimenti per l’alto livello artistico, la composizione, l’attento studio anatomico e la sapiente modellazione, l’opera fu giudicata da certa critica «di troppo inopportuno realismo, per la sua destinazione cimiteriale».

Nonostante ciò, la dolente e dolce fanciulla, trattenuta dalla vita, raffigurata nelle sembianze di un michelangiolesco nudo maschile, ispirò al calcografo Luigi Cavadini, cugino dell’omonimo fonditore, con laboratorio in via Caprera, una fortunata serie di cartoline intitolate «Anelito fuggente».

L’anno successivo Ruperto eseguì il busto del soprano Gilda Dalla Rizza, prima di una serie di importanti commissioni, tra le quali va anche ricordata quella per il busto della poetessa Fernanda Regalia Fassy.

Nel dopoguerra, Ruperto fu scelto per realizzare i monumenti ai Caduti in diversi Comuni della provincia: Isola Rizza nel 1920, Erbezzo nel 1921, Terrazzo nel 1922 e Castagnaro nel 1926. La protagonista di queste quattro opere è una eretta, solenne e statica figura femminile, simbolica allusione al binomio Madre-Patria.

Mentre nelle prime tre sculture si rileva l’adesione al Liberty, che peraltro si ritrovano poco dopo nel monumento funebre dei Galtarossa del ’24, nella scultura di Castagnaro, Banterle ritornò a un’arte più legata alla realtà.

Furono anni di intensa attività, sia nella statuaria sepolcrale che nelle realizzazioni a carattere civile o religioso. Nacquero allora, per il cimitero monumentale veronese, importanti opere funerarie, come la tomba Marcato del 1920, il monumento funebre della famiglia Galtarossa del 1924, la composizione sepolcrale per Arplè Bedoni nel 1925, quello per la famiglia Marchiori del 1926, un altro per la famiglia Composta del 1927 e il monumento funebre per i Tinazzi del 1928.

Il 1929 il suo Giocatore di calcio, bozzetto per una statua destinata allo stadio Benito Mussolini di Roma, fu scelto tra 22 esposti a Verona.

Tra il ’33 e il ’34 realizzò per la scaligera Casa del Mutilato, progettata dal fratello Francesco Barterle, l’apparato scultoreo, scegliendo come protagonisti i due imponenti gruppi di militi, ai lati della scalinata.

Nel 1935 furono poste, in corrispondenza delle pile del nuovo ponte Garibaldi, quattro sue statue giacenti, che dovevano rappresentare fondamentali momenti di vita dell’eroe dei due mondi. Purtroppo questi «strachi», come furono battezzati dai veronesi, (gli stanchi), scomparvero con il ponte nel 1945, dopo il bombardamento.

Gli anni Trenta segnarono anche due importanti tappe nella statuaria cimiteriale quando egli creò, per il pantheon «Beneficis in Patriam» (sempre al Monumentale di Verona), la composita tomba della famiglia Onestinghel-Vanzo del 1933 e il sepolcro De Stefani Sancassani del ’35, con un bianco e imponente angelo marmoreo.

Banterle fu prolifico anche nella scultura religiosa, riuscendo a far emergere una vibrante vena mistica. Come nell’ascetico San Francesco implorante della gardesana villa Segattini, il Sant’Antonio morente, del ’37, per la chiesa cittadina di San Berbardino, o il San Luca davanti a San Giuseppe e al Bambin Gesù, pala marmorea posta nel ’39 nella chiesa di San Luca.

La sua maestria nell’esprimere il sacro con una spiritualità intrisa di tradizione, gli valse la commissione per due grandi statue, che lo fecero conoscere al mondo: San Marco e San Matteo, per la facciata della cattedrale di Khartoum.

Quando nel 1957, Ettore Fagiuoli e Francesco Banterle realizzarono, a Verona, tre nuovi altari nella chiesa di Santa Maria della Scala, dalle sue mani uscì San Giuseppe con Gesù. Dopo lo studio-laboratorio di Verona, Banterle ne aprì un secondo a Milano dove, all'apice del suo successo, circondato da uno stuolo di allievi, continuò un’intensa attività, sia di scultore che di maestro. Opere a sua firma, come quella per la famiglia Righi, furono collocate nel Cimitero monumentale di Milano. Altre sono a Staglieno (Genova).

Nel secondo dopoguerra progettò per Verona altri monumenti funebri: il marmoreo sepolcro per la famiglia di Gustavo Rizzotti nel 1945, dalla particolare essenzialità, che diviene marcata nell’ austero complesso funerario per Umberto e Clara Boggian scolpito nel 1948.

Quando poi, nel 1955, la gara internazionale indetta dal governo del Venezuela per l’impianto siderurgico dell’Orinoco, venne vinta dal gruppo italiano capeggiato da Ferdinando Innocenti, l'imprenditore gli commissionò, per quel Paese, un grande busto raffigurante l’eroe nazionale Simon Bolivar.

Presente in molte mostre, partecipò nel ’32 all’Esposizione Coloniale di Parigi. Fu anche membro di numerose giurie, tra le quali quella per la Permanente di Milano.

Nella statuaria civile e cimiteriale, subì spesso i vincoli imposti dai committenti, mentre nella ritrattistica, la mano fu più felice quando, libera dall’ufficialità, riuscì a cogliere con naturalezza l’ aspetto fisico e lo spirito del personaggio rappresentato.

Sculture e i gessi di molte opere, sono conservati dalla sua famiglia. Lionello Fiumi, amico fin dalla giovinezza, ne ricordò in vari scritti il prestigioso percorso artistico. A lui il diciannovenne scrittore e poeta dedicò un ammirato ritratto in versi, «Schizzo dello scultore Banterle», inserito poi in Polline, la prima raccolta di liriche di Fiumi, che proprio l’amico Ruperto riuscì a fargli pubblicare.

Zeno Martini

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