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La storia - IL VIDEO

Picchia e perseguita la ex, i figli:
«Aiutateci a non far morire mamma»

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Anna, nome di fantasia, vicino ad alcuni degli striscioni che ha appeso sul balcone di casa in segno di protesta FOTO AMATO
Anna, nome di fantasia, vicino ad alcuni degli striscioni che ha appeso sul balcone di casa in segno di protesta FOTO AMATO
La testimonianza (video Tajoli)

«La volta più brutta è stata quando siamo scappati in camera con la mamma perché il papà la stava picchiando. Abbiamo chiuso a chiave e messo il cassettone davanti alla porta perché non entrasse», racconta Marco. «Il papà ci minacciava, poi ha preso un martello e ha iniziato a rompere la porta». «No», lo interrompe suo fratello, «è stato quando hanno iniziato a litigare a cena e poi hanno continuato in bagno e papà ha chiuso la porta a chiave. Sentivamo urlare, gli oggetti che cadevano e noi non potevamo fare niente. Dopo un quarto d’ora sono usciti: prima il papà e poi la mamma. Lei aveva un asciugamano sui capelli. Era piano di sangue. Papà le aveva sbattuto la testa contro il muro. Le hanno dovuto dare i punti». Marco e Luca, 16 e 12 anni, (nomi di fantasia come quello della mamma) sono i figli di Anna, 45 anni. Polacca, in Italia dal ’91, in 18 anni di matrimonio (ha sposato un italiano) è stata «massacrata di botte» una ventina di volte e picchiata «normalmente» molte di più. Due anni fa è riuscita a separarsi, ma lui non vuole saperne di farsi da parte.

 

COLTELLO IN TASCA. Appare quando vuole, la picchia ancora e il figlio più piccolo, una delle ultime volte che è uscito con lui, ha nascosto nella tasca della felpa un coltello. «Perché non voglio perdere la mamma», sottolinea risoluto. Negli occhi di tutti e tre ci sono ansia, dolore, ma anche voglia di combattere. Nella gabbia della paura non vogliono più starci. Come l’uccellino stampato sulla parete della cucina vicino a una voliera vuota nell’appartamento al lago, dove vivono, tenuto con grande cura.

 

STRISCIONI. Insieme hanno appeso gli striscioni sul balcone di casa con le scritte «Subisci indifferenza e violenza», «Vergogna e isolamento» («Perché così va a finire», dice lei), e stralci di alcuni articoli della Costituzione. Insieme hanno attuato una protesta silenziosa ma decisa. La mamma da lunedì non manda più i figli a scuola. «Perché questa situazione sta facendo male non solo a me, ma soprattutto a loro», dice Anna, indicando i suoi ragazzi. «Non ci sentiamo protetti, non sappiamo più a chi rivolgerci. L’anno scorso il mio ex marito ha cercato di strangolarmi sul pianerottolo e dopo qualche mese ha cercato di investire l’uomo che stavo frequentando ed era andato a prendere mio figlio a scuola». «Io urlavo e correvo», racconta suo figlio, «chiedevo aiuto, suonavo i campanelli, ma nessuno mi apriva. C’era un ciclista, mi ha detto “Vedrai che si risolverà tutto” e ha tirato dritto». «Siamo impotenti», riprende la madre. «Io quando cammino per strada ho sempre paura, continuo a girarmi per vedere chi c’è dietro. E i miei figli vivono con il terrore che possa succedermi qualcosa. Siamo tutti in perenne ansia». Motivo per cui la porta di casa è sempre chiusa con le chiavi e il chiavistello.

 

CALCI E PUGNI. La sua più grande sofferenza non sono i calci e i pugni, ma che i figli abbiano dovuto vivere ciò che lei non avrebbe mai voluto. «Reggevo tutto finché i bambini non hanno visto cosa succedeva, glielo tenevo nascosto. Poi lui ha iniziato a picchiarmi anche davanti a loro. Lo amavo», dice quasi per scusarsi per aver sopportato tanto, «pensavo che con il mio amore e la nascita dei bambini sarebbe “guarito”. Mi picchiava, poi si scusava, diceva di amarmi...». Luca interrompe Anna: «La mamma sicuramente non la ama, il papà dice così, ma non è vero». Poi aggiunge: «Cosa dobbiamo fare? Aspettare una carrozza che non arriverà mai? Continuare a subire?». «Luca sta andando dalla psicologa dell’Asl», spiega Anna. «Da quando ci va sta meglio e va meglio anche a scuola».

 

PROBLEMI ECONOMICI. Ai problemi della violenza ora si aggiungono anche quelli economici. Dopo aver fatto la modella una decina di anni a Milano, Anna ha fatto le pulizie, lavorato alla reception di una banca e ora fa l’ausiliaria in un ospedale. «Volevo fare il corso per diventare operatore socio sanitario perché senza qualifica è difficile continuare a lavorare lì, ma purtroppo non c’era abbastanza tempo per ottenere il certificato di comprensione della lingua italiana. Così niente corso e a dicembre mi scadrà il contratto e rischio di restare disoccupata». Se non venisse prorogato dovrebbe dire addio al 1.100 euro di stipendio al mese, cui si aggiungono i 200 euro che il giudice ha stabilito versi il padre. «E che lui dà solo quando riesce, perché fa lavori saltuari. «L’affitto costa 560 euro al mese, poi ci sono le utenze, i libri e i vestiti dei ragazzi, la spesa, il bus per la scuola», riprende. «Se non mi rinnovano il contratto non so come potremo andare avanti. Se ho ancora la forza di lottare è perché ci sono loro», dice guardando i figli. «Sono loro che mi tengono in vita».

 

L’APPELLO. Anna lancia quindi un appello: «Vogliamo venire via da qua, siamo persone che sanno rimboccarsi le maniche. Ci piacerebbe anche vivere in campagna. Io non chiedo la carità. Avrei bisogno di un appartamento che costi meno di questo e di un lavoro. Mi sono occupata anche di malati terminali, ho fatto le notti in ospedale. Voglio poter mantenere i miei figli, farli studiare, dare loro la serenità che ci è mancata».

 

CALCI E PUGNI. In una casa protetta dice di essere già stata due volte. «Una volta mentre ero incinta e l’altra quando è nato il primo bambino», spiega. «La violenza del mio ex marito era imprevedibile», continua. «Una volta mi ha picchiata finché allattavo perché era scaduto il latte in polvere, un’altra perché avevo fatto un apprezzamento su un ballerino di “Amici”, un’altra ancora perché mi ero alzata dal tavolo durante la cena o perché una vite era finita chissà come nel water. Diceva che lo istigavo, che era colpa mia. Sono riuscita a portarlo una sola volta dallo psichiatra, poi non è più andato. Comunque non voglio tornare in una casa protetta: i miei figli devono crescere in una casa nostra. Ho chiesto aiuto ai servizi sociali e mi hanno dato 500 euro due anni fa e 700 euro poco tempo fa. Più due giacconi per i ragazzi. Sono andata dai carabinieri varie volte, ho fatto due denunce ma nulla è cambiato. Abbiamo deciso tutti e tre insieme di uscire allo scoperto. Ci dispiace farlo, ma non sappiamo più cosa fare». Chi vuole aiutare Anna e i suoi figli può scrivere alla mail: kk708880gmail.com. •

Chiara Tajoli

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