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Lockdown veronese per il veterano

Larry Benedict, veterano di West Star , in uno dei corridoi del bunker di AffiLe targhe delle auto che Benedict usava quando viveva in Italia e ha donato al futuro museo di West Star
Larry Benedict, veterano di West Star , in uno dei corridoi del bunker di AffiLe targhe delle auto che Benedict usava quando viveva in Italia e ha donato al futuro museo di West Star
Larry Benedict, veterano di West Star , in uno dei corridoi del bunker di AffiLe targhe delle auto che Benedict usava quando viveva in Italia e ha donato al futuro museo di West Star
Larry Benedict, veterano di West Star , in uno dei corridoi del bunker di AffiLe targhe delle auto che Benedict usava quando viveva in Italia e ha donato al futuro museo di West Star

Per anni chiuso nel «Buco» per lavoro e poi chiuso in casa di un suo amico a San Pietro in Cariano per colpa del Covid-19, che non gli ha permesso di tornare negli Usa, come doveva, facendogli trascorrere il lockdown in Italia. Larry Benedict è stato uno dei primi soldati americani a prestare servizio alla base Nato West Star di Affi. È uno dei veterani della prima ora del «Buco», nome con cui, per ragioni di segretezza, era chiamato il bunker anti-atomico di Affi, realizzato negli anni 1960-1966 per accogliere, in caso di guerra atomica, gli alti comandi Nato di Verona e Vicenza: quelli della Ftase (Forze terrestri alleate sud Europa) e della 5a Ataf (Allied Tecnical Air Force). Da West Star avrebbero condotto le operazioni militari nello scacchiere nord-orientale dell’Italia in caso di invasione delle truppe del Patto di Varsavia. West Star era un centro nodale delle trasmissioni dei comandi Nato. Qui, due volte all’anno, avvenivano le esercitazioni Nato. Benedict, californiano, ha 74 anni e alterna la sua vita fra gli Usa e l’Italia, che gli è rimasta nel cuore. L’abbiamo incontrato grazie al generale Gerardino De Meo, ultimo comandante Nato del «Buco», che l’aveva incontrato nel 2019 ad Affi alla proiezione di un documentario di Verona Report sul bunker. Nostalgia dell’Italia quella che la riporta spesso nel nostro Paese signor Larry? Sì. Ho un carissimo amico, conosciuto nei primi tempi della mia permanenza ad Affi, che mi ospita sempre quando torno in Italia. Qualche ricordo particolare della sua vita a West Star? Vi entrai con altri militari italiani e americani nel 1967, qualche mese dopo la consegna da parte dell’Italia alla Nato. Da qui sono ripartito nel 1969 per tornarvi nel 1970 fino al 1975. Ben 7 anni di permanenza a West Star. Il suo incarico? Mi ero arruolato nell’US Air Force (l’Aeronautica americana, ndr) col grado di sergente, poi fui promosso sergente maggiore. Sebbene fossi dell’aeronautica, nel «Buco» lavoravo per la US Nav, la Marina americana, in una stanza celata dietro una parete sopra la postazione riservata al FBS (Fleet Broadcasting System, ndr). Questo sistema era usato per le trasmissioni nella marina. Permetteva i collegamenti fra West Star e le navi della 6a Flotta dispiegate nel Mediterraneo. Io mi occupavo della macchina che criptava e decriptava i messaggi. Per l’epoca era sofisticata. Però, qualche anno dopo, il sequestro da parte della Corea del Nord di una nave americana, la USS Pueblo, con la stessa apparecchiatura crypto di Affi, ne compromise parzialmente la segretezza. Solo parzialmente, però, perché la macchina cifrante aveva bisogno di «chiavi» giornaliere, che i nord-coreani non potevano possedere. Ma, a lungo andare, avrebbero potuto decifrare i messaggi. Per cui, dopo qualche la nostra apparecchiatura cifrante fu sostituita. L’ impatto con la realtà italiana? In Italia e a Verona mi sono sempre trovato molto bene anche se qui la vita era diversa da quella americana. E la permanenza nel bunker? Mi è sempre piaciuta perché non avevo nessuna paura. Là dentro mi sentivo al sicuro e i turni di lavoro mi permettevano molta libertà che ho sempre adoperato per conoscere luoghi nuovi e tantissime belle ragazze. Ricorda qualche episodio? Ero in sala mensa quando all'improvviso il solito brusio si abbassò. Notai che molti commensali tenevano sotto controllo il punto di distribuzione della carne e un maresciallo noto a tutti come rompiscatole: quando arrivava chi dispensava la carne doveva sempre mettere in mostra tutte le bistecche per permettergli di scegliere. Dopo un po’ sentii le sue parolacce e urla. Inveiva contro tutti i presenti maledicendoli: gli era stata servita una cotoletta grossa, ben impanata e ben cotta, ma fatta con la carta della telescrivente. Lei ha donato al futuro museo di West Star le targhe AFI delle auto che usava quando viveva in Italia. Ricorda qualche aneddoto in merito? Quando gli abitanti di Affi le vedevano, pensavamo che portassero impresso il nome del loro paese, ma scritto con una sola «f». E ridevano ritenendolo un errore. Invece quella sigla aveva tutt’altro significato: Allied Forces Italy, Forze Alleate in Italia. Le è dispiaciuto donarle? Un po’ sì. Ma ho anche pensato che potessero essere un pezzo prezioso per il futuro museo della Guerra fredda. Appena conosciuto il generale De Meo, lei volle sapere quale fine avesse fatto il «quadro della finestra» che aveva donato al bunker prima di andarsene. Fu piacevolmente sorpreso di incontrare qualcuno che conoscesse quell’opera usata anche per molti scherzi. Può descrivere il quadro? Rimasto a lungo appeso al bar del bunker, rappresentava una finestra a grandezza naturale con vere tende fatte da mia moglie. Era stato realizzato da un mio amico. Al di là della finestra c’era una lunga fila di persone che con aria sorpresa si spingeva cercando di guardare dentro la casa anche se, per ogni sbirciatina, doveva pagare 100 lire. Per quali scherzi veniva usato? Non sapevo che venisse usato per degli scherzi. Me l’ha riferito il generale De Meo che aveva avuto l’informazione da un altro veterano, Ugo Valentino. Mi ha raccontato che a West Star, durante le esercitazioni Nato, che duravano parecchi giorni e notti, arrivavano rinforzi da altri reparti di Verona. Questi militari, non abituati a quei ritmi frenetici, di notte tendevano ad addormentarsi e si coricavano su enormi buste piene di documenti da bruciare. Per evitare che si addormentassero, i marescialli anziani li portavano a prendere una «boccata d’aria» al bar. E qui li facevano «affacciare» alla «finestra» tra le risate dei presenti. Non so dove ora si trovi il quadro in cui l’artista aveva raffigurato perplessità e paure degli abitanti di Affi nei riguardi di questo bunker su cui si favoleggiava, credendo perfino che avesse una cupola apribile per il lancio dei missili. Sarebbe bello se il quadro tornasse nel «Buco», nel museo della guerra fredda. È rimasto appeso al bar di West Star almeno 21 anni. Sta per tornare in California. Verrà ancora in Italia? Certo. Vorrei incontrare altri veterani italiani dei miei tempi a West Star. È in contatto con altri veterani americani che hanno svolto servizio al «Buco»? Assieme abbiamo costituito un gruppo che,per ragioni anagrafiche, si sta purtroppo assottigliando, ma sarebbero tutti molto felici di tornare in visita. •

Giuseppe Corrà

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