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Il giovane annegato domenica a Peschiera

Le tante lingue per l’ultimo saluto a Osas

Un amico ricorda Ehikioyd. In secondo piano, don Angelo Bellesini (Pecora)
Un amico ricorda Ehikioyd. In secondo piano, don Angelo Bellesini (Pecora)
I funerali di Osas (Pecora)

Quando ieri pomeriggio, alla chiesa di Palazzolo di Sona, don Angelo Bellesini ha pronunciato la frase «nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo», davanti a lui i gesti dei presenti non sono stati solo il segno della croce, ma anche gestualità diverse. Tutte però con lo stesso significato profondo.

 

Tante, infatti, erano le culture, le fedi, e i credo che si sono riuniti nella piccola chiesa della frazione per dare l’ultimo saluto a Osas Ehikioyd, il 28enne che domenica scorsa è morto al lago: il giovane si era tuffato in acqua da un pontile di Peschiera e poi non era più riemerso. Ehikioyd, originario della Nigeria, viveva da poche settimane proprio a Palazzolo, appena in fondo alla discesa che porta alla chiesa dove ieri una cinquantina di persone si sono ritrovate per dargli l’addio.

 

Il ragazzo era anglicano e quindi la cerimonia, iniziata alle 15.30, è stata il compromesso fra riti cattolici e canti e preghiere in inglese. Prima di entrare in chiesa, gli amici e i colleghi di Ehikioyd si sono ritrovati nella piccola piazzetta all’ombra del campanile. Alcuni ragazzi, in un angolo, hanno acceso la musica dai telefonini fino all’arrivo del feretro. Poi solo il silenzio, interrotto da urla e pianti disperati. I cellulari l’hanno fatta da padroni negli istanti prima e quelli subito dopo il funerale. In diversi hanno registrato video di quei momenti. In chiesa, però, nessuno fiatava.

 

Il ricordo ancora vivo di quella tragica morte improvvisa era troppo forte. Emeka Umen, 24 anni, collega di Osas, ha fatto da interprete, traducendo dall’italiano all’inglese, alla cerimonia. È stato lui a dire agli amici di Ehikioyd di indossare la mascherina e di entrare con calma in chiesa. «Era stato lui a far entrare un amico in comune al lavoro. Poi hanno assunto anche me», spiega Emeka, prima di varcare l’ingresso del tempio. Sarà di poche parole, perché una volta finita la funzione, mentre gli altri si muovevano in gruppo quasi a formare un girotondo attorno alla bara, lui si è seduto per terra, con la testa fra le mani, incredulo. «Era un bravo ragazzo, eravamo amici. Ho perso tanto», dice.

 

Dall’altare, don Bellesini si è mosso a metà fra il rito cattolico e le esigenze degli amici del ragazzo che prima della funzione gli avevano chiesto qualche minuto per pregare e cantare insieme. «Questa è la casa del Signore, indipendentemente dalla fede. Indipendentemente dal credo», ha spiegato il parroco. «Io uso parole in italiano, quelle della chiesa cattolica, ma sono parole spirituali universali», ha aggiunto. E infatti quando è arrivato il momento della preghiera del «Padre nostro», ognuno dei presenti ha pregato come preferiva: chi ha aperto e mani con i palmi rivolti verso l’alto, chi verso il volto e chi, nascosto dietro la mascherina, ha salutato per l’ultima volta Osas bisbigliando.

 

Finita la funzione, trasportato il feretro all’esterno, prima che venisse caricato sul carro funebre, gli amici della vittima hanno formato un cerchio e iniziato a muoversi in senso orario attorno all’amico. Qualcuno ha pianto e basta, altri hanno gridato composti verso la bara. Atri ancora non sono riusciti a sopportare il dolore e si sono sganciati, per stare soli prima di raggiungere il camposanto di Palazzolo dove Ehikioyd è stato sepolto.

 

Il 28enne non aveva parenti in Italia e a farsi carico del funerale sono stati i datori di lavoro della «Tst food srl» di Sona, anche loro presenti alla messa ieri, insieme agli altri colleghi. Ehikioyd era in compagnia di un amico, domenica scorsa, quando, poco dopo le 17, si era tuffato per un bagno nel lago ma non era più riemerso. Altri ragazzi, che avevano assistito alla scena, si erano lanciati in acqua per recuperare quel corpo che non tornava in superficie. Sono stati poi inutili tutti i tentativi di rianimarlo: per Osas, ormai, non c’era più niente da fare.

Nicolò Vincenzi

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