<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
IL PIU' VECCHIO DI VERONA

L’albero antico che racconta mezzo millennio di storia

La località, nei pressi di Caprino, ha preso il nome Platano, proprio dalla grande pianta (FOTO PECORA)
La località, nei pressi di Caprino, ha preso il nome Platano, proprio dalla grande pianta (FOTO PECORA)
La località, nei pressi di Caprino, ha preso il nome Platano, proprio dalla grande pianta (FOTO PECORA)
La località, nei pressi di Caprino, ha preso il nome Platano, proprio dalla grande pianta (FOTO PECORA)

A Catania, alle pendici dell’Etna, c’è il «castagno dei cento cavalli», considerato l’albero più vecchio e grande d’Italia: un’innovativa ricerca sul suo Dna, appena pubblicata sulla rivista scientifica Forestry, gli attribuisce 2.200 anni (ringiovanendolo, a dire il vero, di un paio di millenni rispetto all’età stimata in precedenza). E a Verona? Alle pendici del Monte Baldo, c’è il «platano dei cento bersaglieri»: probabilmente il monumento arboreo più antico della nostra provincia - vive da almeno quattro o cinque secoli, secondo gli esperti - tanto da dare il nome alla località di Caprino in cui si trova, la frazione di Platano.

 

Veterano Il siculo castagno dei cento cavalli, articolato in tre grossi tronchi a occupare un’area di mille metri quadrati, si chiama così perché, secondo la leggenda, la regina Giovanna I d’Angiò (1326-1382) trovò riparo da un temporale sotto quelle ampie fronde, e insieme a lei tutti i cavalieri del suo corteo. Se il nostro platano, invece, si guadagnò l’appellativo dei «cento bersaglieri» è perché, come vuole una narrazione ben più recente, nel 1937, durante le manovre dell’esercito italiano, il suo tozzo tronco e i grossi rami ospitarono un’intera compagnia di un centinaio di militi. Sembra pure che, nel 1944, i nazisti gli sfoltirono il fogliame, affinché non fosse comodo nascondiglio per i partigiani.

 

Leggende Ma girovagando per il Veronese, in cerca di un po’ di ristoro dalla canicola, ce n’è da star freschi all’ombra della Storia. O, meglio, della leggenda. Abbiamo: il castagno di Dante al Ponte di Veja (Sant’Anna d'Alfaedo), il cipresso di Colombo a Trezzolano; a Sommacampagna c’era l’olmo (morto) di Garibaldi. Un millennio e mezzo in tre, si narra. «Però, secondo le più credibili e recenti ricerche storiche e botaniche, è inverosimile che le esistenze dei tre illustri personaggi siano state in qualche modo legate a quei giganti di legno. I quali, probabilmente, hanno ben meno dell’età dichiarata». Lo afferma Gianfranco Caoduro, dottore forestale, presidente onorario della Wba (World biodiversity association) e ideatore di tanti progetti di salvaguardia ambientale.

 

Storia Ma pur sempre di memoria si tratta: nostro patrimonio storico a cavallo dei secoli, che la Regione ha racchiuso in un apposito registro. Nella nostra provincia si contano molti monumenti arborei. Ricorda infatti Caoduro: «Ne censirono 123, i botanici Luciano Corso e Giuliano Lazzarin, in “Grandi alberi dell’area veronese”; un volume del 1989 in via di aggiornamento. Nel frattempo, parecchie di quelle piante purtroppo sono morte, a causa dell’età ma anche dell’incuria. Persa, per esempio, la famosa “Rovera” di Tregnago, di oltre 300 anni stimati». Intanto il platano dei cento bersaglieri, di certo il più rappresentativo del Veronese, si gioca il titolo di Matusalemme provinciale con la «Calma Granda», il castagno-patriarca di San Rocco di Piegara (forse 500 anni), con le due roverelle di villa Giuliari ad Albarè di Costermano (anch’esse di mezzo millennio stimato), e con il faggio di Monte Busimo a Erbezzo (circa 400 anni). «Il platano di Platano, inconfondibile segnavia piantato fra la strada che sale verso Spiazzi e il torrente Tasso», prosegue Caoduro, «è caratteristico perché, al contrario dei suoi simili, non svetta verso l’alto, ma si sviluppa in ampiezza. Si racconta che abbia 700 anni. In realtà non dovrebbe superare di molto i 400».

 

Ecco, probabilmente il platano di Platano (una ventina di metri d’altezza, 15 di circonferenza) non era ancora germogliato quando Dante soggiornò a Verona, fra il 1313 e il 1318. Facile che non abbia proprio «visto» la dinastia degli Scaligeri, né poi gli siano giunti echi della scoperta dell’America. Ma di sicuro sventolava già le sue giovani foglie verso il cielo nel pieno del dominio veneziano su Verona: quando la Serenissima perfezionava il sistema difensivo di mura attorno alla città. Ma cosa poté vedere anche, il platano? Molto prima della «nostra» pandemia, la tremenda peste bubbonica del 1630, diffusa dai soldati tedeschi, scesi in Italia per la presa di Mantova. Il lazzaretto sanmicheliano, nelle campagne di Porto San Pancrazio, si riempì di disperati. La malattia dimezzò la popolazione veronese. Attraversando i secoli, il platano è passato da «Serenissimo» a «Cisalpino», da austriaco a «garibaldino»; poi diventò proprietà del Regno d’Italia. Quante ne ha viste, il platano di Platano.

 

Futuro Sarebbe atroce se questa siccità (già lo aveva indebolito quella del 2003) gli desse il colpo di grazia. «I Comuni», dice Caoduro, «potrebbero accedere a fondi specifici con cui curare in modo corretto queste piante plurisecolari e prolungarne il più possibile l’esistenza. Certo, serve una sensibilità che al momento scarseggia». Augurandogli comunque lunga vita, per scrupolo al platano dei bersaglieri è stato «prelevato» il genotipo, grazie a un progetto seguito proprio da Caoduro con l’istituto agrario Stefani-Bentegodi di Isola della Scala: «Così, se dovesse malauguratamente lasciarci», spiega, «ci resterà almeno la sua eredità genetica». A pochi passi dal capostipite, nel parco di villa Nichesola-Rigo, vive infatti suo figlio, un baby-platano di una quindicina d’anni e quattro metri d’altezza: una copia genetica perfetta. Nacque da un pollone raccolto ai piedi del vecchio albero: unica piantina a sopravvivere tra le 200 che si era provato a sviluppare. «Il Dna non mente. La morfologia del “bimbo” è molto simile a quella del papà», nota Caoduro, sorridendo. «Sarebbe bello fare lo stesso per tutti i nostri alberi monumentali. Potremmo averli per sempre». I nostri alberi: testimoni del passato, ponti lanciati verso il futuro.

Lorenza Costantino

Suggerimenti