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Il risveglio di chi ce la fa «Non è sempre facile»

Il reparto di terapia intensiva alla clinica PederzoliUn paziente ricoverato per Covid 19 alla clinica di PeschieraUn’ambulanza del servizio sanitario della Croce Verde
Il reparto di terapia intensiva alla clinica PederzoliUn paziente ricoverato per Covid 19 alla clinica di PeschieraUn’ambulanza del servizio sanitario della Croce Verde
Il reparto di terapia intensiva alla clinica PederzoliUn paziente ricoverato per Covid 19 alla clinica di PeschieraUn’ambulanza del servizio sanitario della Croce Verde
Il reparto di terapia intensiva alla clinica PederzoliUn paziente ricoverato per Covid 19 alla clinica di PeschieraUn’ambulanza del servizio sanitario della Croce Verde

Il primo paziente risvegliato e «svezzato» qualche giorno fa nella Terapia intensiva dell’ospedale di Peschiera del Garda è stato un uomo di 51 anni. In gergo tecnico si chiama svezzamento respiratorio la fase in cui vengono ridotti con gradualità i supporti ventilatori fino all’estubazione del paziente e alla riacquisizione della sua capacità di respirare in autonomia. «È lo scopo della nostra vita», dice all’altro capo del telefono il dottor Walter Mosaner, responsabile dell’Unità di Terapia intensiva dell’ospedale Pederzoli. È sera inoltrata, ma la giornata lavorativa non è finita. Da quindici giorni il dottor Mosaner non torna a casa. Vive in ospedale. «I miei ragazzi sono capaci di fare tutto», spiega, «ma c’è bisogno di un livello organizzativo che cambia continuamente e necessita di una presenza costante, non solo per l’attività clinica». Racconta i successi raggiunti con la sua equipe in questi giorni nel reparto che dirige e che dal 17 marzo accoglie pazienti affetti da Covid-19, ad oggi 13 in poco più di due settimane. Di questi, quattro hanno già lasciato la Terapia intensiva: sono tutti uomini di età compresa tra i 43 e i 52 anni, un paio sono stati trasferiti in Pneumologia e gli altri due, in uno stadio più avanzato verso la guarigione, nell’area di medicina a indirizzo respiratorio. Dei nove pazienti ancora in reparto, in maggioranza uomini, tre sono già stati estubati. «Quando abbiamo fatto la Tac di controllo al primo paziente e abbiamo visto un miglioramento importante che consentiva di iniziare a svegliarlo è stato come se all’improvviso ci fossimo resi conto che è primavera, che ce la possiamo fare», racconta Mosaner. Nonostante i tanti anni di esperienza sul campo la commozione si fa sentire, perché alla battaglia contro Covid-19 nessuno era preparato. E il fatto che altri pazienti siano sul lento cammino della guarigione «ci conforta e ci dà motivazione, per noi è un successo emotivo e non solo professionale» che si unisce al dato che finora nessun decesso è avvenuto in Terapia intensiva. Questo risultato, sottolinea Mosaner, dipende da più fattori: il lavoro d’equipe e con altri specialisti, l’appropriatezza del triage iniziale, cioè la scelta dei pazienti che possono giovare delle cure intensive (non sempre appropriate, se non addirittura dannose, per persone molto anziane o che hanno più patologie pregresse), la precocità dell’approccio terapeutico, la capacità di scegliere ventilazioni adeguate, l’esperienza e il nursing, ovvero il lavoro fondamentale degli infermieri. Come in altri ospedali, anche qui «tutti i giorni gli infermieri provvedono a mobilizzare in posizione prona (a pancia in giù, ndr) e supina i pazienti che sono sedati, per distribuire ossigeno e sangue all’interno dei polmoni. È soprattutto questo a fare la differenza», osserva Mosaner. I risvegli non sono tutti uguali: qualche paziente è tranquillo e si riambienta con facilità, altri sono più confusi e alcuni agitati. Manca anche in questo caso l’aiuto fondamentale dei familiari, che non possono stare vicini ai loro cari. Talvolta è difficile gestire anche l’arrivo, perché a differenza di altre condizioni che portano in Terapia intensiva i pazienti Covid che devono essere intubati sono lucidi e consapevoli. Spesso, racconta Mosaner, «non si rendono conto di avere una malattia avanzata: pur avendo un contenuto di ossigeno bassissimo nel sangue e magari una Tac terribile non hanno una dispnea sempre evidente». Tutti sono però terrorizzati e fa parte del lavoro tranquillizzarli e rassicurarli. Attualmente i posti letto in Terapia intensiva sono 12, mentre 6 sono già stati allestiti nel caso sia necessario far fronte a ulteriori emergenze. Anche il personale è stato incrementato con le risorse delle sale operatorie e dell’area chirurgica la cui attività è stata ridimensionata con la sospensione degli interventi programmati. Per accompagnare alla completa guarigione i pazienti Covid è stato inoltre messo a disposizione il reparto di riabilitazione, che da ieri è entrato in funzione con questo scopo, mentre gli altri pazienti ricoverati nel reparto sono stati trasferiti nei giorni scorsi al Centro riabilitativo veronese di Marzana. •

Katia Ferraro

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