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LA STORIA

Il Garda e i suoi custodi: «Noi, gli ultimi pescatori in barca da tutta la vita»

L'alba con «Berto» Dominici, da sessant'anni al largo tra avventura e malinconia: «Un tempo tra noi c'era rispetto reciproco»
Umberto Dominici in barca e con il pescato del giorno: da sessant’anni è sul lago esercitando l’antico mestiere del pescatore
Umberto Dominici in barca e con il pescato del giorno: da sessant’anni è sul lago esercitando l’antico mestiere del pescatore
In barca all'alba con «Berto», uno degli ultimi pescatori del Garda

Il rumore del motore e il piccolo faro in barca accompagnano verso le luci delle boe posizionate al largo di San Giacomo. È il «sound» del lago all’alba, o meglio, quello di Umberto «Berto» Dominici, 73 anni il prossimo 16 settembre, dopo aver salpato dalla spiaggetta sotto casa a nord di Gargnano per andare a recuperare le reti dei coregoni.

Sono in barca da tutta la vita: dai 14 anni ho imparato il mestiere

Ci vogliono almeno un paio di ore prima di tornare a riva scortati dai gabbiani ma questa volta, complice la compagnia in barca, i gesti quotidiani sono accompagnati dai ricordi. Memorie le sue che legano da secoli i «Frans» al lago: così è da sempre conosciuta la famiglia Dominici dalla fine del ‘700, quando i predecessori decisero di emigrare dalla Corsica a Gargnano.

In barca all'alba con Berto, uno degli ultimi pescatori del Garda

I «Francesi» appunto, da lì l’abbreviazione del dialettale Fransès in Frans: «Sono in barca da tutta la vita – premette –: a partire dai quattordici anni ho imparato il mestiere, poi a sedici andavo già a pescare con Andrino Fiorini. Fino ai 20 anni non è che il lago offrisse molto e c’è stata una parentesi in cui sono andato a lavorare in un’azienda di linee elettriche». Anche lui il Berto, come la stragrande maggioranza dei pescatori della riviera, per qualche periodo ha tirato su le reti affiancando alla pesca la coltivazione della terra o degli olivi: «Dopo il militare facevo un po’ il giardiniere e un po’ il pescatore riuscendo a tirare avanti».

Ora dà una mano ai figli che hanno ereditato il mestiere dal padre

Adesso dà «semplicemente» una mano ai figli Marco, 47anni e Luca di 45 che, dopo aver acquisito il tesserino a 16 anni, hanno ereditato il mestiere dal padre. «Ma anche Giovanni (il figlio 14enne di Luca) non è male – ammette Berto – già se la cava a mettere le reti». Quanti pescatori professionisti siete rimasti adesso? «Il numero preciso non lo so, ma credo siamo rimasti più o meno una quarantina qui sulla Bresciana, forse meno. Ai bei tempi solo a Gargnano eravamo una dozzina di pescatori. A Bogliaco sette o otto, altrettanti a Villa. Andavamo in tanti a pescare, soprattutto quando c’erano le aole in frega.

Quasi tutti pescavano davanti alle loro zone. Anche per questo motivo si “preparavano” le rive vangandole, portando la ghiaia con le barche per allargarle. Erano come i giardini. Si facevano le cave nella terra, si zappavano e vangavano, poi noi mettevamo le tele e i “bartabei“. Nel ’78 in due ore ne pescammo 10 quintali. Poi il declino. Ai tempi si parlava fosse dovuto a qualche malattia del pesce, ma anche adesso non è ancora chiaro il motivo. Speriamo sia solo tutto transitorio, come già avvenuto in passato intorno alla metà degli anni Sessanta».

 

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Adesso il coregone è la quasi totalità del pescato

L’auspicio è che sia così anche per il carpione, specie endemica solo del lago di Garda, in via di estinzione. «Fino al 2003 si pescava ancora qualcosa – ricorda Berto –, anche esemplari di un paio di chili, poi il crollo. Adesso per “prendere” la giornata si va sul sicuro andando a coregoni».

È la quasi totalità del pescato al netto delle sardine e dei persici o di qualche sporadico esemplare di luccio e trota: «Nonostante due anni di stop ai ripopolamenti del coregone, adesso ce ne sono ancora, magari tra due o tre anni il pescato calerà drasticamente e invece di prenderne un quintale si tornerà a riva con 10 kg. Non varrà sicuramente la pena fare ancora questo mestiere: le spese ci sono tutte, tra barca, motore, benzina, accessori e tasse varie. Una volta si portava in giro il pesce semplicemente in bici e i motori sulle barche non esistevano ancora».

Una vita di sacrifici e rinunce

Vite grame, di sacrifici e rinunce: «Si usciva a remi col “velèt” (una piccola vela). Serviva se si andava lontano, anche per dormire in barca con la trapuntina. Ad esempio al Prà (più a nord verso i Tignale): dopo aver messo le reti, invece di tornare a casa e risalire col vento la mattina, si preferiva rimanere a dormire verso Forbisicle e il giorno dopo si scendeva a riprendere le reti. Stessa cosa sulla veronese. Quante dormite a Pai in barca – ricorda - mentre a Castelletto negli anni ’60 si andava dal Modena a dormire nella sua falegnameria». Poi l’avvento dei motorini: «Il primo fu un Calabrone 4 cv acquistato al cantiere Feltrinelli. Andai a montarlo sulla barca con mio zio Nino nel ’63 poco prima che morisse». Tempi «romantici» che non torneranno.

 «C’era soprattutto rispetto reciproco tra noi pescatori - chiosa il Berto tornando a riva con un velo di malinconia -: adesso c’è gente che utilizza anche metodi di pesca che non hanno niente a che vedere con la nostra professione». Sulla spiaggetta ad aspettarlo davanti alla millenaria chiesetta di San Giacomo, ci sono i figli pronti per sfilettare il pescato e portarlo al volo ai clienti in zona prima che la Gardesana cominci ad ingolfarsi di auto. Ma questa del traffico, è tutta un’altra storia. E soprattutto un altro mondo. •.

Luciano Scarpetta

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