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Il fattore umano in terapia intensiva

La dotazione tecnologica all’interno di uno dei «box» della terapia intensivaLa disposizione dei posti letto nel reparto di terapia intentiva della Pederzoli FOTOSERVIZIO AMATO
La dotazione tecnologica all’interno di uno dei «box» della terapia intensivaLa disposizione dei posti letto nel reparto di terapia intentiva della Pederzoli FOTOSERVIZIO AMATO
La dotazione tecnologica all’interno di uno dei «box» della terapia intensivaLa disposizione dei posti letto nel reparto di terapia intentiva della Pederzoli FOTOSERVIZIO AMATO
La dotazione tecnologica all’interno di uno dei «box» della terapia intensivaLa disposizione dei posti letto nel reparto di terapia intentiva della Pederzoli FOTOSERVIZIO AMATO

Creare un ambiente più familiare e umanizzato, seppure ad alta intensità di cura, in grado di facilitare le relazioni e di conseguenza il benessere psico-fisico del paziente per un recupero se non più facile, almeno più sereno. Sono i principi che hanno guidato la Casa di cura Pederzoli nella definizione dell’Unità di terapia intensiva (UTI) inaugurata un anno fa all’interno della nuova ala dell’ospedale affacciata sulla strada Gardesana.

Un reparto che si avvicina all’idea di «rianimazione aperta» diffusa soprattutto nel Nord Europa e che si sta facendo strada anche in Italia: accorgimenti strutturali che hanno reso possibile una maggiore apertura alle visite esterne, allargando le maglie delle limitazioni orarie e favorendo la privacy tra pazienti e familiari. «Abbiamo chiuso per aprire», esordisce il direttore sanitario Gianluca Gianfilippi accompagnando nella visita al reparto assieme al direttore dell’Uti Walter Mosaner e al coordinatore infermieristico Andrea Deorsi.

Un’affermazione che trova riscontro nell’osservazione diretta: l’open space è stato sostituito da sei box di quattro metri per quattro, disposti in fila ma indipendenti, ciascuno con la propria dotazione tecnologica strumentale. Ogni box è come una stanza e sebbene sia delimitato da pareti trasparenti per fare in modo che il personale abbia la situazione sempre sotto controllo, tra uno e l’altro è possibile abbassare le tendine per una maggiore riservatezza.

L’isolamento anche acustico dal resto del reparto fa sì che il paziente non risenta degli avvenimenti esterni, a volte drammatici, favorendone così la tranquillità. Ai sei posti letto all’interno dei box se ne aggiungono altri due nello spazio aperto, dedicati ai ricoveri brevi post operatori in caso di interventi complessi. In totale i posti letto sono otto, tre in più rispetto al vecchio reparto.

«Alla base di tutto c’è la volontà di umanizzare questi ambienti ad alta tecnologia, che di solito segregano i pazienti riducendo le relazioni con i propri cari», spiega il dottor Mosaner, «è una filosofia che sta prendendo piede, nonostante l’applicazione sia graduale». La lungimiranza deve infatti essere accompagnata dagli investimenti, ingenti nel caso della Pederzoli che in questi anni si sta completamente rinnovando. «Da noi i parenti possono stare in due, dalle 15 alle 20 di ogni giorno», sottolinea ancora Mosaner. Un ulteriore beneficio arriva dall’aver portato il reparto in superficie, mentre prima era al piano interrato. «È necessario portare la luce dove ci sono i pazienti», rimarca il direttore, «e i nostri vivendo in un ambiente così specialistico più degli altri tendono a perdere i propri riferimenti, a dissociarsi ed agitarsi. La presenza della luce, la possibilità di ricostruire i cicli notte-veglia ne limitano il delirio, ma sono importanti anche per il personale».

In ogni ospedale la rianimazione è il reparto dove si affrontano le prove più difficili, dove più che altrove il confine tra la vita e la morte è una battaglia giornaliera sia per le persone malate che per chi vi lavora. «A distanza di anni molti pazienti non ricordano il periodo trascorso qui, oltre allo stato di semi-incoscienza determinato da farmaci e terapie credo che la natura protegga dagli eventi dolorosi», riflette Mosaner. Il reparto si completa con una sala «traumi e urgenze», dove i pazienti vengono stabilizzati prima di essere portati nei box o sottoposti a particolari cure.

Ad alleggerire il reparto dai casi meno gravi ha contribuito la realizzazione, sempre all’interno del nuovo polo, della «recovery room» annessa alle sale operatorie: una terapia intensiva post operatoria dove stazionano i pazienti dopo gli interventi. Infine, un altro modo per limitare il disagio e favorire la comunicazione tra familiari e degenti è limitare la «bardatura» per entrare in reparto. «Facciamo mettere le sovrascarpe e lavare le mani con il gel idroalcolico, misura che da sola abbatte in modo significativo la trasmissione delle infezioni», fa sapere Mosaner. «I batteri che portiamo dall’esterno sono comuni», continua, «mentre i problemi dei nostri pazienti sono legati a infezioni ospedaliere, a batteri abituati agli antibiotici e resistenti alle terapie».

Katia Ferraro

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