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«Ha ucciso un uomo disarmato»

Gli investigatori dei carabinieri davanti alla casa di via Ronchi a Pastrengo in cui è avvenuto l’omicidio
Gli investigatori dei carabinieri davanti alla casa di via Ronchi a Pastrengo in cui è avvenuto l’omicidio
Gli investigatori dei carabinieri davanti alla casa di via Ronchi a Pastrengo in cui è avvenuto l’omicidio
Gli investigatori dei carabinieri davanti alla casa di via Ronchi a Pastrengo in cui è avvenuto l’omicidio

Nicolae Celmare resta in carcere. Non si sarebbe difeso ma al contrario ha estratto il coltello e ha colpito la vittima senza una precedente aggressione. Ieri, nel corso dell’udienza di convalida, non ha parlato davanti al giudice Marzio Bruno Guidorizzi. Si è avvalso della facoltà di non rispondere ma la versione che avrebbe reso davanti al pm Carlo Boranga sarebbe stata smentita dalle altre testimonianze, dal racconto di chi venerdì pomeriggio era nella casa di via Ronchi a Pastrengo. E se il magistrato nell’ordinanza di convalida sottolinea che «l’imputato ha ammesso di aver ripetutamente accoltellato la persona deceduta» e che «la versione dallo stesso fornita adombra la sussistenza della legittima difesa», tuttavia «dalla ricostruzione dei fatti che emerge allo stato degli atti tale versione non trova conforto soprattutto se rapportata con le dichiarazioni dei testi presenti». In pratica il bracciante agricolo di 64 anni non è stato aggredito dal connazionale di 48 anni: «I testimoni lo hanno visto estrarre il coltello e colpire la vittima. I colpi», prosegue l’ordinanza, «sono stati ripetuti (almeno tre) inferti a persona disarmata e rivolti a punti vitali». Tre coltellate, una all’addome, una alla gola e una alla nuca. Resta in carcere poichè per il gip ricorrono le esigenze cautelari dettate dal pericolo che possa commettere reati della stessa specie, «pericolo reso concreto e attuale dal fatto che trattasi di soggetto che ha fatto uso spropositato di armi accoltellando ripetutamente, per motivi allo stato dal ritenersi banali, la persona offesa disarmata». E tale elemento denota «estrema pericolosità sociale». Un arresto avvenuto in quasi flagranza: dopo l’accoltellamento ha invitato il fratello a chiamare i soccorsi e i carabinieri, li ha attesi con il coltello in mano e si è consegnato senza reagire. Un pomeriggio terminato in tragedia nella casa che Celmare condivideva con altri nove connazionali. Sono tutti braccianti agricoli arrivati da un paio di settimane per la vendemmia, convivono sotto lo stesso tetto ma i contrasti, a detta dei vicini di casa, rappresentavano una costante. Difficile andare d’accordo e sempre quel giorno, terminato il lavoro, al rientro a casa la vittima e il fratello avevano iniziato a litigare. Un litigio violento, si erano picchiati ed era stato lo stesso Celmare a cercare di rimettere pace tra i due. Con il passare delle ore però qualcosa tormenta uno dei due fratelli ed è a questo punto che la versione di Celmare diverge da quella dei testimoni. Stando a quello che ha dichiarato l’indagato E.C., dopo essersi ritirato nella sua stanza e aver bevuto, forse troppo, era tornato in cucina armato di coltello. Arrabbiato con il fratello e con Nicolae Celmare che aveva interrotto la lite. La sua ricostruzione prosegue descrivendo il tentativo della vittima di colpirlo, ad avvisarlo sarebbe stato il fratello e l’indagato dopo aver schivato un fendente era riuscito a impossessarsi dell’arma e aveva iniziato a colpire. «Mi sono difeso, avrebbe spiegato nel corso dell’interrogatorio avvenuto in nottata nella caserma dei carabinieri di Peschiera, alla presenza del sostituto procuratore Carlo Boranga. I militari hanno comunque sentito i coinquilini della vittima e dell’aggressore, le dichiarazioni sono confluite nella richiesta di convalida dell’arresto per Celmare, indagato per omicidio volontario, ma è proprio alla luce di quelle dichiarazioni testimoniali che il quadro è stato mutato. La vittima non aveva il coltello, era disarmata. Per questo «la misura cautelare della custodia in carcere appare l’unica in concreto idonea a soddisfare le esigenze del caso», conclude il dottor Guidorizzi, «tenuto conto della personalità dell’imputato, della pericolosità sociale manifestata e considerato lo spazio di incontrollabilità che deriverebbe da altra misura meno afflittiva». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Fabiana Marcolini

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