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Fabio Testi alla cerimonia per la Rocca «scopià»

Fabio Testi
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Sono passati 60 anni da quando, l’11 giugno 1959, saltò in aria il cantiere di scaricamento munizioni Mondini, ai piedi della Rocca, dove un centinaio di persone maneggiavano ogni giorno sostanze esplosive. I danni furono ingenti e l’esplosione fece due vittime, l’operaio Luigi Partelli di Canale e una donna di Ceraino, sull’altra sponda dell’Adige. Non si mosse né si rovinò, invece, la statuetta di Santa Barbara, protettrice di coloro che maneggiano armi ed esplosivi. Poteva essere una strage, considerato che oltre a Rivoli furono fatte evacuare anche Ceraino, Dolcè, Peri, Affi, Caprino e Bussolengo, che fu bloccato il traffico sulla statale del Brennero e si fermò la ferrovia. «È scopià la Rocca», dicono ancora oggi alcuni anziani rivolesi per ricordare quel giorno terribile, il panico, il rumore assordante dei razzi. Per il sessantesimo anniversario, oggi alle 18 viene celebrata una messa nell’area ora privata che ospitò il cantiere di scaricamento munizioni, raggiungibile dalla croce di via Vigo. La cerimonia religiosa sarà officiata davanti alla statuetta di Santa Barbara dal parroco di Rivoli, don Massimo Vecchini, e da padre Ferdinando Caprini, missionario, figlio del capo operai alla Mondini. Tra i rivolesi e tutti coloro che vorranno ricordare quel tragico avvenimento è atteso ai piedi della Rocca anche l’attore Fabio Testi, il cui padre fu capocantiere. In occasione del cinquantesimo anniversario, nel 2009, il Comitato Rivoli ’97 organizzò una serie di eventi commemorativi e presentò il libro «Quando è scopià la Rocca» di Gino Banterla, pubblicato nella collana «Storia e Storie di Rivoli Veronese» promossa per favorire la conoscenza della storia del paese e delle sue radici. Il libro è ricco di particolari e fotografie sugli 80 uomini e 40 donne dediti al cantiere Mondini alle operazioni di scaricamento degli ordigni bellici e di recupero dei metalli più pregiati. Il pericolo era sempre dietro l’angolo e in vent’anni di attività furono un paio i morti sul lavoro, oltre alle due vittime per l’esplosione del ’59 per cui arrivò un messaggio di Papa Giovanni XXIII, fino all’anno precedente patriarca di Venezia.

C.M.

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