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«Da bambino profugo sono diventato agente»

Il lancio del cappello A fine cerimonia agli allievi è consentito, simbolo di gioia, lanciare il loro cappello in aria
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Il lancio del cappello A fine cerimonia agli allievi è consentito, simbolo di gioia, lanciare il loro cappello in aria
Il lancio del cappello A fine cerimonia agli allievi è consentito, simbolo di gioia, lanciare il loro cappello in aria

«Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere ai doveri del mio ufficio nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene». «Agenti del 212° corso, lo giurate voi?». Cerimonia nel rispetto delle norme di contenimento della pandemia nel piazzale della Scuola allievi agenti della Polizia di Stato di Peschiera. Sono stati 62 i frequentatori (17 donne e 45 uomini) del 212° Corso. Gli allievi ora sono stati destinati ai diversi reparti e uffici di tutta Italia, per iniziare a svolgere i 2 mesi di periodo di prova, insieme agli altri 947 allievi, provenienti dalle altre Scuole della Polizia di Stato. Ogni giuramento ha una storia a sè e questa volta porta i simboli, le placche, tramandate da chi non c’è più a chi ha l’eredità da portare avanti l’impegno in divisa, come Giovanni Pezzi, Gabriele Beolchi, Chiara Pilato. E dell’allievo agente Shqiprim Berisha. «Nel 1998, la guerra nella ex Jugoslavia provocò un esodo di migranti non indifferente. In mezzo a quelle persone disperate c’era anche la mia famiglia. All’epoca avevo otto anni, non capivo bene ciò che stava accadendo, ma l’unica cosa chiara era che dovevamo scappare. Fu un viaggio lungo, insidioso e con molte difficoltà. La mia famiglia mi ha sempre detto che non dovevamo preoccuparci perché sarebbe andato tutto bene e che saremo tornati a casa il prima possibile. Attraversammo la penisola balcanica in cerca di una nuova meta. La sorte ci portò al confine Italo-Sloveno, dove i più fortunati e con una maggiore disponibilità economica riuscirono ad attraversare il confine illegalmente, dirigendosi verso i Paesi del nord Europa», ha raccontato l’allievo. «Ci trovammo a pochi passi dal confine italiano. Sentivo spesso nominare l’Italia, non sapendo neppure cosa fosse e dove realmente si trovasse. Ricordo molto bene quando ci caricarono in un furgone per poi lasciarci, dopo molto tempo, in una piazza al freddo. Era ottobre o novembre e mi ricordo che c’era un vento gelido che mi tagliava le mani. Più passava il tempo e più faceva freddo. Le persone più fortunate riuscirono ad andarsene, noi no. Per poterci scaldare un po', mio padre prese per mano me e mio fratello più piccolo e si mise a camminare. Credo che dalla disperazione, dalla rassegnazione e dal freddo, i miei genitori cercarono un posto di Polizia per chiedere aiuto. Un poliziotto di Trieste, si avvicinò a me e a mio fratello, appoggiò la mano sulla mia spalla e fece segno di aspettare. Tornò dopo qualche minuto, aveva con sé due bicchieri e due merendine. Si avvicinò verso di noi dandoci questo dono». «Quelli furono il nostro primo cappuccino e la prima barretta di cioccolato ai cereali della nostra vita. Il suo gesto fu inaspettato, dal luogo dove venivamo era impensabile una cosa del genere da parte di un poliziotto. Noi scappavamo dalla guerra, la Polizia era ostile nei nostri confronti, mentre in un altro Stato era avvenuto l’opposto. Nonostante io fossi solo un bambino, questa esperienza mutò totalmente la mia visione verso le forze dell’ordine. Sono cresciuto in Italia con il desiderio di poter un giorno indossare quella divisa». Un racconto che ha toccato il cuore anche di chi ha assistito alla cerimonia via streaming e al direttore Gianpaolo Trevisi, che ha salutato i suoi ragazzi anche con i versi di Shakespeare, ricordando quanto questo giuramento valga e non sia promessa all’incostante luna, bensì allo Stato. •.

Alessandra Vaccari

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