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Cinghiali, la rivolta dei cacciatori: «È caos»

Abbattimenti ridotti al lumicino causati anche dai limiti imposti dalle legge, il passaggio di consegne in materia tra Provincia e Regione che rendono indefinita la situazione. I cacciatori del Baldo lanciano un nuovo grido d’allarme riguardo al problema della diffusione sempre più massiccia dei cinghiali che resta alquanto complesso nonostante i provvedimenti degli enti che hanno autorizzato la caccia. E intanto aleggia già un’altra preoccupazione. GESTIONE DEI CAPI UCCISI. La gestione dei capi uccisi quando riprenderanno con vigore gli abbattimenti. I comprensori alpini del Baldo Garda sembrano vivere un momento di stasi e attesa. Specie dopo il cambio di gestione delle funzioni relative alla caccia e alla pesca, avvenuto lo scorso primo ottobre quando la competenza è passata dalla Provincia alla Regione. Le richieste (autorizzate) di uscita sono pressoché ferme, sebbene prosegua la caccia. I rappresentanti dei comprensori, in particolare, lamentano che è possibile cacciare il cinghiale solo fino a due ore dopo il tramonto. Troppo poco, sostiene chi imbraccia le doppiette. Perché i cinghiali escono di notte e in particolare proprio quando coloro che escono a «battere» il territorio sono costretti a rientrare. L’arrivo del freddo e delle giornate più corte fa il resto. Da Malcesine fanno sapere che da giugno sono stati abbattuti un’ottantina di esemplari, peraltro la maggior parte con l’ausilio delle gabbie. A Caprino, invece, sono stati un centinaio scarso le catture, 84 dal 28 luglio, da quando cioè è stata aperta la caccia in selezione, mentre sono stati solo 11 i capi abbattuti da marzo scorso attraverso il piano di controllo.Numeri che i cacciatori definiscono insufficienti per arginare in maniera decisa il fenomeno. Servirebbe, dicono, avere meno vincoli – a partire dall’orario – per essere più efficaci. E anche avere dei fondi per sostenere le spese che i cacciatori devono sostenere. DIVIETO DI COMMERCIO. Ma in prospettiva esiste un altro problema che potrebbe sorgere una volta che gli abbattimenti dovessero riprendere a pieno regime. Ad oggi infatti, per legge, sia ai cacciatori che ai centri di raccolta è vietato commercializzare i resti degli ungulati, considerati dalla legge come selvaggina. Finora le parti non scartate sono finite sulle tavole delle sagre piuttosto che di parenti e amici. Ma se le quantità di carne a disposizione dovessero aumentare, si creerebbe un serio problema di gestione dei capi abbattuti. Su questo punto Diego Prandini e Tiziano Zanetti, presidenti dei comprensori alpini di Malcesine e Caprino, insistono che è necessario creare una filiera che consenta di «smaltire» i cinghiali uccisi. L’ultimo centro di raccolta aperto sul Baldo è proprio quello di Caprino, che si somma a quello di Brenzone oltre a quello storico di Cavalo in Lessinia. «Nonostante il locale del centro sia stato assegnato attraverso una donazione dal Comune di Caprino, che ancora ringraziamo», sostiene in particolare Zanetti, «le spese non mancano. Solo per sistemarlo e allestirlo sono stati investiti ventimila euro e non è ancora finito. Da una parte servirebbero fondi ministeriali o regionali per rimborsare chi ci mette di tasca propria i soldi, dall’altra sarebbe indispensabile lasciare la possibilità ai centri di raccolta di commercializzare la carne. In questo modo si potrebbe rientrare nelle spese, comunque, senza certo guadagnarci e dall’altra si risolverebbe il problema di come gestire le centinaia di chili di cinghiale a disposizione». Zanetti nel frattempo si è detto pronto a scrivere alla Regione per chiedere lumi sul «vuoto» amministrativo nella gestione del piano di controllo al cinghiale. Dall’altra, sostenuto anche da Prandini, avverte: «Serve intervenire molto in fretta con modifiche concrete nella caccia, altrimenti sarà sempre più difficile, se non impossibile, gestire il problema dei cinghiali e i danni che provoca». •

Emanuele Zanini

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