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Baby gang di Castelnuovo «Violenza con più cause»

Giuliana Guadagnini, psicologaI carabinieri, con mascherina, intervenuti a Castelnuovo del Garda
Giuliana Guadagnini, psicologaI carabinieri, con mascherina, intervenuti a Castelnuovo del Garda
Giuliana Guadagnini, psicologaI carabinieri, con mascherina, intervenuti a Castelnuovo del Garda
Giuliana Guadagnini, psicologaI carabinieri, con mascherina, intervenuti a Castelnuovo del Garda

Volevano la bicicletta a tutti i costi, oltre le limitazioni imposte dal Covid-19, al di là della legge e del rispetto legittimamente dovuto a un essere umano. Non è questa, ovviamente, la motivazione che avrebbe scatenato gli atti di violenza del gruppo di giovani tra i 16 e i 21 anni a Castelnuovo del Garda contro un minorenne in un tranquillo pomeriggio in spiaggia al lago. Ne abbiamo riferito ieri: un’escalation di minacce culminate in un’aggressione che, se non fosse stato per il decisivo intervento dei carabinieri, avrebbe potuto diventare ancora più efferata. Fermo restando che la magistratura disporrà le risoluzioni adeguate per il caso, la psicologa giuridica civile e penale Giuliana Guadagnini invita in questo, come in altri atti di vessazione, ad attenersi prima di tutto ai fatti e a non generalizzare attribuendo la facile etichetta di «bullismo»: «In particolare, nell’episodio di Castelnuovo, alcuni aggressori risultano avere precedenti, quindi si tratta di comportamenti ascrivibili a reati di altro genere, non bullismo. Essendo già noti alle forze dell’ordine, possiamo ipotizzare una tendenza a replicare azioni per confermare comportamenti antisociali attraverso la violenza, che hanno coinvolto un piccolo branco». La psicologa sottolinea il fatto che un ragazzo abbia fatto «apprezzamenti» a una ragazza presente e abbia chiesto alla vittima se ci teneva di più alla fidanzata o alla bicicletta, manifestando l’intento di impossessarsi dell’oggetto incurante del contesto e di una valutazione obiettiva della realtà: «Uno dei problemi correlati alla violenza è che chi la perpetua considera gli altri come oggetti», continua. «Nella situazione si arriva a minacciare con bottiglie di vetro per mettere in crescente scacco psicologico e fisico. Molti che commettono atti violenti hanno perso la percezione dell’esame di realtà delle cose, delle conseguenze di determinati atti e mancano di empatia, in particolare verso le vittime, ed è qui che come psicologi, educatori e genitori possiamo intervenire». Secondo Guadagnini, in genere la coazione a reiterare violenza rappresenta una modalità distorta di essere presenti in un contesto sociale e social dove appare normale pretendere ed avere tutto e subito. A questo scopo contribuirebbero serie tv o videogiochi senza filtri dove non viene dato peso alle azioni, alle parole, né a quello che comportano a livello emotivo nell’altro, tantomeno su Internet, portando i ragazzi a pensare, purtroppo, non alla giustizia e ai suoi valori ma alla loro impunibilità. «A livello sociale cerchiamo di educare e di dare nuove chance, coinvolgendo rei, vittime e genitori, ma dipende dal caso specifico in ogni caso i percorsi psicologici aiutano, perché molto spesso le radici del “male” sono lontane», specifica la psicologa. In base alla propria esperienza «molti giovani sono attratti dalla fascinazione di sopraffare gli altri. Il primo modo per evitare spirali che potrebbero solo aggravarsi con la crescita è aiutarli a elaborare le situazioni, a collegare i fatti alle proprie responsabilità, definire le azioni di questo tipo reati che implicano conseguenze concrete e far loro comprendere il vissuto della vittima. Quello che conta, in ogni situazione, è alimentare l’impegno a cambiare coinvolgendo anche i familiari in modo chiaro, obiettivo e coerente». Può avere, in qualche modo, influito il lockdown? «Premesso che dovremmo conoscere più dettagli sul caso specifico e vissuto dei ragazzi coinvolti, e restiamo nel mero campo delle ipotesi, il distanziamento sociale e la clausura hanno comportato compressione di situazioni critiche che potrebbero aggravare l’aggressività per alcuni, ma non possiamo generalizzare». •

Monica Sommacampagna

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